Come capita ai prodotti cinematografici di presunto minore impatto sul pubblico la diffusione nelle sale non è stata e non è, diciamo, di rilievo, e avendo saltato l’anteprima causa sold out, mi sono rassegnato a piccola gita fuori porta per vedere questo film di Gianpiero Pumo che interpreta pure il ruolo del protagonista Salvo.
Il giovane regista, già protagonista di una carriera non trascurabile nel mondo dello spettacolo cinematografico e non solo, si cimenta in questa opera prima che più di un commentatore definirebbe cinema d’autore o di nicchia o d’essai.
Da appassionato cultore del cinema sul grande schermo, so per certo che questo Ciurè è di sicuro d’autore, nel senso che il regista/sceneggiatore/attore rivela una capacità straordinaria nel tessere le fila di una storia dei nostri giorni che si dipana in modi che toccano profondamente le corde umane a tutti i livelli.
Ero stato incuriosito da un servizio del Tgr Sicilia di qualche settimana addietro che ne anticipava – in modo conforme a quanto poi riscontrato su siti di promozione cinematografica – la trama, riassumendola nella storia di un poco di buono maschio palermitano che si innamora di una transessuale.
Mi chiedevo cosa e come il regista palermitano avesse potuto inventarsi su quel filo di trama che mi sembrava non poco difficile da dipanare, ma l’attesa è stata ripagata dalla visione, alla conclusione della quale, in una sala non grande ma quasi piena, è partito – confesso provocato dal sottoscritto – un lungo applauso, con la gente in piedi che brigava con le mani tra applausi e fazzoletto di carta per asciugare qualche lacrima.
Non può che definirsi straordinaria la interpretazione della protagonista al femminile di Vivian Bellina che tra espressioni del viso, del corpo, del parlare dialettale, ma pure con l’accento tipico palermitano, risulta di una bravura degna di paragoni con attrici ben più note.
Ma pure il bambino che interpreta il figlio di Salvo – che soffre di una patologia psichica procurata da eventi familiari e perciò non parla – è bravissimo nella sua gestualità, ma pure bravi oltre che terribilmente credibili risultano i personaggi che interpretano i malavitosi siciliani che hanno come proscenio una scalcinata palestra di boxe.
Va detto che il filo di trama cui accennavo sopra è assolutamente riduttivo. Ferma restando la riflessione istintiva che provoca negli spettatori sul mondo LGBQT, la sceneggiatura offre ben altri spunti e emozioni che – pure per un assiduo frequentatore di sale cinematografiche come me – è difficile provare.
Mi attirerò gli improperi di qualcuno, ma credo che di tutti i più recenti film sulla “sicilianitudine” questo sia di gran lunga il migliore.
Non ho timore a sostenere che era parecchio tempo che un film non mi emozionava così e ho voluto, con la caparbietà dell’appassionato e l’aiuto dei social, rivolgere un paio di domande a lregista:
Come Ti è venuta in mente questa storia?
Avevo cominciato a scrivere questa sceneggiatura sei anni fa, poi come succede a volte a chi scrive, avevo perso l’ispirazione fin quando nel periodo del lockdown, costretto a casa come tutti, ho ricominciato a lavorarci.
Avevo fin dall’inizio maturato la voglia di raccontare una storia che coinvolgesse il mondo transgender ma ambientato nella città in cui sono nato ma che, essendo vissuto a Roma per parecchi anni, potevo osservare solo da lontano, rammaricato della immagine spesso fuorviante che si rappresenta.
Il film è già stato proiettato nel resto d’Italia, che reazioni ha suscitato nel pubblico?
Ero ancora ieri sera a Roma durante una proiezione ma ho assistito ad altre e ricevuto il racconto di altri spettatori o critici: la reazione è stata ovunque la stessa, commozione e spesso applausi. Sono felice per me per Vivian, straordinaria nella sua prima prova di recitazione, per il bambino Lucio e per tutto il cast di autentici palermitani.
Grazie Gianpiero delle emozioni.