Qualche anno fa l’israeliano Eshkol Nevo ha raggiunto l’apice della popolarità grazie ad un romanzo di profonde introspezioni. Tre piani (Neri Pozza, 253 pp., 17 euro) è costruito sulla fragilità umana, su come emergono diverse paure nel corso del tempo, soprattutto quando si è costretti a compiere scelte. Recentemente Nanni Moretti ha preso spunto da questo romanzo per il suo film dal titolo omonimo. Il romanzo è costruito proprio su tre piani, quelli di una palazzina borghese di Tel Aviv. Un luogo di grande ordine in cui ogni cosa sembra essere lì per mantenere una certa armonia (apparente).
In un piano abitano Arnon e Ayelet, una giovane coppia di genitori. Spesso, per via del lavoro, affidano la loro piccola Ofri alle cure di una coppia di anziani vicini: lui pensionato sempre ben curato che sta combattendo i primi sintomi dell’Alzheimer, lei insegnante di piano. Un giorno però l’anziano Hermann sparisce con Ofri per un pomeriggio, attirando le furie del padre della bambina. La furia pian piano lascia posto al sospetto che, in quel lasso di tempo, Ofri abbia subìto qualcosa di umiliante. In un altro piano c’è Hani, madre di due figli e moglie di Assaf. Il marito si trova quasi sempre all’estero per ragioni lavorative. Quella solitudine la rende ossessionata da un pensiero: subire la stessa malattia materna ossia la schizofrenia. Vive l’angoscioso dubbio se ogni evento sia parte del reale o della malattia che sta per incombere. Ed infine in un altro piano c’è Dovra, giudice in pensione che passa le giornate a (tentare di) dialogare con il marito defunto tramite una segreteria telefonica. Lo trova l’unico modo per affrontare un passato di dolore, in cui il figlio Arad si tolse la vita in seguito ad un tragico errore. C’è quasi il desiderio di interrogarsi su quanto si è sbagliato nell’educazione di quel figlio che veniva ritenuto non all’altezza del loro prestigio.
Quindi Tre piani è un romanzo del vorrei ma non posso: la potenziale volontà di voler affrontare un principio di dramma si ferma davanti ad una fragilità interiore. I personaggi sono legati non solo da quella palazzina ma anche da una superficiale esteriorità che copre la reale entità delle cose. In fondo a queste paure e grandi devastazioni interiori, Eshkol Nevo lancia un messaggio chiaro: le grandi paure della vita si possono rinviare o sottacere ma mai cancellarle totalmente. Prima o poi esse ritornano e lì che dovremo essere consapevoli nel capire quali siano le nostre mancanze, trovare nuove forze e vincere tutti i timori. Non dandoci colpe se tutto questo non sarà come avremmo previsto.