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Il compleanno della Repubblica italiana  

Con il referendum del 2 giugno 1946 per la prima volta le donne parteciparono al voto

Possiamo paragonare la nostra Repubblica ad un’arzilla vecchietta che domani festeggerà il suo settantacinquesimo compleanno.

Tanto è trascorso, infatti, da quel lontano 2 giugno 1946 quando gli italiani confermarono, attraverso un referendum, la volontà di preferire la forma repubblicana come modello di Stato a quella, per molte circostanze esecrata, monarchica.

La maggioranza dei voti a favore della repubblica vennero espressi nelle regioni del Centro Nord

Per dovere di cronaca è necessario sottolineare che la maggioranza dei voti a favore della repubblica vennero espressi nelle regioni del Centro Nord mentre la totalità delle regioni meridionali votò a favore della monarchia.

Il perché di questa sostanziale differenza è presto detto: il Centro e il Nord Italia avevano sopportato e supportato, per ben 20 lunghi mesi, dal settembre 1943 al maggio del 1945, una cruenta lotta di Liberazione contro l’esercito tedesco e i suoi alleati fascisti e repubblichini, con le conseguenti, notevoli, perdite sia dal punto di vista di vite umane – tra combattenti e popolazione civile – che da quello meramente economico, strutturale e infrastrutturale, situazione questa decisamente molto più critica, dal punto di vista delle condizioni del vivere civile, rispetto al Sud del Paese che fin dall’estate del 1943, con lo sbarco degli Alleati a Gela, era stato liberato dall’occupante tedesco; le lotte contadine e operaie, cominciate alla fine dell’800 in quasi tutto il Settentrione, con la nascita delle Leghe contadine per la rivendicazione delle riforme dei contratti di mezzadria in chiave più favorevole verso i contadini, avevano portato il movimento contadino ed operaio ad una presa di coscienza della “lotta di classe”, raggiungendo dei traguardi storici, dal punto di vista dei diritti elementari sul lavoro, nei rapporti tra padroni e fittavoli, al contrario del Sud-Italia dove ancora regnava la legislazione feudale e i grandi latifondisti, ultimi rampolli delle decadute famiglie aristocratiche, legati a doppio filo con le varie compagini mafiose, detenevano centinaia di migliaia di ettari di terreni, spesso lasciati anche incolti, col continuo sfruttamento della manodopera contadina e il ricorso alla violenza fisica verso i casi più riottosi.

È questo, dunque, all’indomani della fine della guerra, il panorama socio-politico che si ha in Italia alla vigilia del voto referendario dove, per la prima volta, vennero ammesse anche le donne e istituito il suffragio universale.

I partiti politici, dopo l’oblìo forzoso subito durante il ventennio fascista, si erano ricompattati e avevano portato avanti la lotta contro l’invasore tedesco e le milizie fasciste conclusa il 25 aprile con l’insurrezione di Milano e la liberazione di tutto il Nord-Italia.

Un mese prima della consultazione referendaria Vittorio Emanuele III, pur di influenzare l’esito del referendum in favore della monarchia, abdicò in favore del figlio Umberto e si ritirò ad Alessandria d’Egitto. Gli italiani non gli perdonarono sia la mancata condanna del fascismo prima della Marcia su Roma che la mancata difesa della Città Eterna dopo l’armistizio di Cassibile e la fuga precipitosa a Brindisi.

Oltre al quesito referendario gli italiani, che come abbiamo detto ritornavano ad esercitare il diritto di voto dopo vent’anni di regime, furono chiamati ad eleggere i membri dell’Assemblea Costituente che di lì a poco avrebbe elaborato la nuova Costituzione repubblicana al posto dello Statuto Albertino, vigente dal 1848.

L’affluenza alle urne fu altissima: quasi il 90% degli elettori si recò alle urne per esercitare il proprio diritto al voto represso da troppo tempo. Il 13 giugno Umberto II, dopo essersi rifiutato di riconoscere la Repubblica, lasciò l’Italia per raggiungere la famiglia reale nell’esilio portoghese di Cascais. Il 18 giugno la Cassazione dichiarò l’Italia una repubblica mettendo così fine al Regno d’Italia e alla casa Savoia: l’Italia passava così da monarchia costituzionale a repubblica parlamentare. Enrico De Nicola venne nominato primo Presidente della Repubblica mentre Alcide De Gasperi fu il primo Presidente del Consiglio.

La decisione di festeggiare la Festa della Repubblica venne presa l’anno successivo alla consultazione referendaria e venne scelta la data del 2 giugno, e non quella della proclamazione (18 giugno), per rimarcare maggiormente il giorno delle prime elezioni libere e la volontà popolare di votare la repubblica.

Le elezioni videro per la prima volta la partecipazione delle donne al voto

Le elezioni videro per la prima volta la partecipazione delle donne al voto. Numerose accorsero alle urne dopo secoli di vessazioni: donne che avevano vissuto sotto l’ombra del Fascio Littorio, obbligate a lasciare la scuola già in terza elementare per aiutare la famiglia nei campi; donne che vissero il secondo conflitto mondiale piangendo la dipartita di mariti, figli e fratelli; donne che attraverso l’esperienza della guerra hanno sentito la loro coscienza svegliarsi, contribuendo alla Resistenza come staffette, portaordini o accogliendo i soldati sbandati; donne che hanno resistito e hanno contribuito alla ricostruzione della Nazione. 

Venne raccomandato alle donne di recarsi alle urne senza rossetto

C’è un curioso aneddoto che le riguarda circa il voto referendario: venne raccomandato loro di recarsi alle urne senza rossetto. Siccome la scheda doveva essere incollata e non presentare alcun segno di riconoscimento le donne, umettando con le labbra i lembi della scheda per chiuderla, avrebbero lasciato inequivocabilmente il segno del rossetto. Sarebbe stato rischioso, dunque, rendere nullo il voto in una giornata memorabile che le vedeva protagoniste principali dopo tanto tempo.

Il voto alle donne non fu una galante concessione maschile: diverse donne di vari movimenti politici avevano dato vita ad un comitato, già dal 1944, per rivendicare l’immediato diritto di voto alle donne alle prime elezioni libere. Alcune erano incredule, intimorite di poter sbagliare e chiedevano consiglio ai padri, ai mariti su cosa indicare nella scheda. Molte, invece, intravidero in quel voto il giusto riconoscimento delle loro lotte. Il giorno del referendum si videro lunghe fila di uomini e donne recarsi ai seggi. Le donne “…arrivavano dalle campagne con i vestiti eleganti della festa come se fossero invitate ad un matrimonio…”.

L’Italia desiderava cambiare pagina

Coloro che scelsero il simbolo della repubblica lo scelsero perché, dicevano, “…il re con le gambe storte i bambini ci ha ammazzato”: l’Italia desiderava cambiare pagina e non c’era più spazio per quella Corona che aveva favorito l’ascesa del regime fascista che con la violenza aveva soggiogato e portato alla rovina e al disastro l’intero Paese. 

Ogni anno è necessario, pertanto, festeggiare il compleanno della Repubblica nata dalla volontà delle donne e degli uomini insieme. In un’epoca di discriminazioni di genere, che purtroppo inquinano la nostra società, la Festa della Repubblica possa essere vista anche come la festa dell’uguaglianza rimarcando così le parole della canzone di Francesco De Gregori “Viva l’Italia”: “…Viva l’Italia, l’Italia tutta intera…”.

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