Monreale, 10 giugno 2018 – Raccontare questa straordinaria esperienza dell’amico e stimato artista, Franco Panella, è un piacere al quale non sarei riuscito a sottrarmi. Sono testimone del suo indiscutibile talento, praticamente, da sempre. Da quando, cioè, il terremoto del ’68 nella valle del Belìce gli impose il traumatico distacco dai suoi luoghi d’origine, ed egli, dopo una temporanea permanenza a Lecce, scelse Monreale quale suo paese d’adozione.
Ci incontrammo all’Istituto Statale d’Arte, che lui frequentò e dove io muovevo i primi passi da docente di disegno geometrico e architettonico. Nacque subito il sodalizio e già il 30 Maggio del 1974 presenziammo all’inaugurazione di una bi-personale che avevamo deciso di allestire presso la galleria “Urania” di Forte dei Marmi; mostra che si protrasse fino al successivo 8 Giugno. Quei giorni vissuti in Versilia furono densi di accadimenti, di piacevoli incontri e anche di “incidenti”… il cui ricordo riemerge di frequente nei nostri dialoghi, soprattutto in relazione a taluni episodi:
• La cena nel ristorante dello stabilimento balneare Pieraccini di Viareggio, ospiti del titolare (raffinato collezionista) in compagnia, tra gli altri, di Romano Battaglia, di ritorno da un ininterrotto soggiorno a Brescia da dove, quale inviato della Rai, aveva raccontato la “strage di piazza della Loggia”, consumata pochi giorni prima. Le sue riflessioni su quell’esperienza e la straordinaria efficacia nell’esporle ci coinvolsero talmente che io e Franco, fattasi notte, ci recammo verso il temporaneo domicilio come se anche noi stessimo tornando da quella piazza di Brescia.
• La decisione estemporanea e senza tentennamenti da parte dell’organizzatore, il grande Vittorio Grotti (tra l’altro artefice della Fondazione Viani), di accogliere alcune nostre opere nella prestigiosa rassegna “Ai Frati”, che già da quell’anno era stata trasferita negli hangar del Carnevale.
• Quel “brutto quarto d’ora” (ma durato molto di più) messi con le spalle al muro, nei pressi dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Accadde quando stavamo raggiungendo la macchina, dopo esserci congedati dal titolare di una galleria d’arte e due agenti in borghese ci bloccarono, intimandoci di consegnare i documenti, le chiavi dell’auto e di addossarci con le spalle contro la parete più prossima. Seguì un’accurata perquisizione del veicolo e la lunga attesa di un riscontro alla loro richiesta di informazioni sui nostri eventuali “precedenti”. Fortunatamente, dopo circa un’ora, i due agenti, rassicurati dalle ottime referenze fornite dalle caserme di S. Margherita e di Monreale (ma senza alcuna spiegazione), ci restituirono i documenti, le chiavi dell’auto e la facoltà di muoverci liberamente. Fu l’edizione del giorno successivo de La Nazione a chiarirci le ragioni dell’accaduto: qualche ora prima del nostro “fermo” era stata consumata una redditizia rapina in banca (tra l’altro a mano armata); alcune coincidenze tra i colori del nostro abbigliamento e di quello dei rapinatori e l’aggravante della targa dell’auto, la cui sicula provenienza era all’epoca ben visibile, ci avevano resi possessori dei requisiti quali candidati all’arresto.

Tornando a quella mostra del ‘74 in Toscana, ricordo nitidamente le opere di Franco Panella. Erano molto simili, tranne per le dimensioni, a quelle attualmente in esposizione presso il “Centro di Riferimento Oncologico” di Aviano, in provincia di Pordenone, dove rimarranno fino al prossimo 24 Giugno. Immagini, costruite con rapide pennellate e tratti decisi, quasi del tutto prive di riferimenti figurativi, ma che, sin dal primo impatto, suggeriscono il concetto di “paesaggio”, luoghi, tuttavia, destinati a rimanere nascosti agli occhi di chiunque, se le percezioni e i pennelli di Franco Panella non li avessero resi visibili. L’uso personalissimo del colore agevola la deduzione che a “svelare” in tal modo quei “luoghi” non poteva che essere un siciliano, un artista siciliano che la terra isolana l’ha vissuta, godendone gli splendori, ma anche subendone i più dolorosi sconvolgimenti.
Particolarmente calzante mi è parsa la citazione da Leonardo Sciascia – «L’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?» – che Franco ha deciso di inserire nel cartoncino d’invito.
“CARTOLINE” è il titolo della mostra, che raccoglie opere di piccolo formato. Cartoline che riproducono panorami dell’immaginario, filtrati dalla sensibilità da vero artista di Franco Panella ed offerti, in questa occasione, alla visione di chi si tormenta nell’infruttuosa ricerca di risposte a ciò che non può che essere considerato illogico, inspiegabile e, soprattutto, ingiusto.


Molto attuale e pertinente è la “lettura” fornita in catalogo dal critico d’arte Tanino Bonifacio, in occasione della mostra personale dell’artista, tenuta a Palermo nel 2008 presso Loft Comunicazione e Arti Visive, di cui trascrivo la parte conclusiva.
[…] “Non la “visione” quale sogno o immaginazione, ma la “visione” come sguardo verso le forme seminascoste abitanti l’ombra, quelle forme della bellezza che precariamente sostano nei luoghi meno noti, nelle pieghe di una realtà solo apparentemente insondabile.
Per queste ragioni l’opera di Panella realizza l’esplicito tentativo di costruire una “poetica dello sguardo”, ovvero una nuova “visione” del reale, un nuovo modo di leggere quell’universo di immagini mediatizzate invadenti l’esistere, governanti il nostro guardare le piccole e grandi cose del quotidiano.
Dare consistenza all’ombra, ombra contenente l’imprevedibile frammento di realtà che l’artista mette in luce svelandone l’origine sensibile: oggetti, scritture, colori, suggestioni materiche, veri e propri catalizzatori espressivi di energia umana.
Siamo certi che questa mostra svela al pubblico un fare artistico autoriflessivo e un esercizio
investigativo rivolto soprattutto al campo del linguaggio. Una ricerca analitica la quale considera l’opera d’arte non solo come il dato terminale di un processo concettuale, ma anche o soprattutto come il luogo fisico e simbolico di una profonda meditazione intorno all’arte e all’uomo.
Per tale declinazione interrogativa questa mostra antologica non si presenta come una sequenza di lavori legati tra di loro da rapporti lineari, ma diviene un vero e proprio diario contenente gli appunti di ricerca sul quale l’artista ha annotato la geografia di territori sconosciuti, un nuovo regno dell’arte celebrante l’elogio del non finito e del non concluso quale identità basica della creazione”.

Affido, infine, la spiegazione delle origini e delle finalità del progetto (di cui la mostra di Franco Panella è parte significativa) alle parole del dott. Roberto Biancat, già primario del CRO di Aviano e “curatore” (nell’accezione più pertinente del termine) del programma di Arte-Terapia.
L’arte come supporto terapeutico”.
«Un’espressione, forse uno slogan, che la dice lunga sulle motivazioni di fondo che ci hanno indotto a “illuminare” la hall dell’Istituto di Ricerca, Cura a Carattere Scientifico “Centro di Riferimento Oncologico” di Aviano per riconfermare, attraverso l’estro dell’arte, l’essenza della vita. Non c’è nulla, o quasi, di filosofico, in questa sintesi di pensiero che accomuna pazienti e medici, artisti e semplici spettatori.
Insomma quasi un’esigenza per togliere non solo il “grigiore” di un angolo del nosocomio, ma, soprattutto, per trasmettere ancora l’esatta indole alla riscoperta dei valori della quotidianità anche se il Centro di Riferimento Oncologico, per sua stessa natura, è trasposizione di sofferenza e di dolore.
Un abbinamento (ospedale e arte) quasi naturale in quanto ammalati e artisti sono comunque alla ricerca del meglio per riconfermarsi ancora e più all’interno di una società viva e partecipe delle esigenze degli altri. Non dunque un’operazione di marketing, come a qualcuno potrebbe far venire il dubbio, ma più esplicitamente un percorso di sintesi tra realtà ospedaliera (e con essa quanto vi ruota attorno con gli ammalati e gli assistiti in primo piano) e mondo esterno.
Tutto ha avuto inizio a metà degli Anni Novanta quando furono sistemati i reparti di radioterapia nei sotterranei del CRO (un’esigenza questa dettata da ragioni di sicurezza). Il progettista aveva realizzato una mostra permanente all’esterno delle sale di radioterapia proprio per cercare di rendere il più possibile sereno l’ambiente.
Poi si pensò di rivitalizzare anche l’ala nord della hall d’ingresso all’istituto e il gioco fu fatto.
Individuate le motivazioni di fondo, anche sull’esperienza di incontri culturali precedenti (come la mostra dei disegni di giovani sieropositivi) si proseguì su questa strada che, oggi, è veramente un’ulteriore occasione di serenità all’interno dell’Istituto.
Dal CRO vogliamo far giungere un importante segnale che va ben lungi dal saper conoscere solo la malattia, ma anche voler capire chi è quell’uomo che ha quella malattia e che chiede aiuto.
La medicina moderna, dunque, va oltre all’aspetto tecnico per rapportarsi di più e meglio con l’uomo.
Una scommessa? È probabile, ma visto i risultati sin qui ottenuti intendiamo perseguire questo percorso».