Giovedì sera si è celebrata, con autoreferenzialità e pochissime novità, l’ennesima edizione del premio letterario più importante in Italia. Il premio Strega, per quanto lo si possa considerare un po’ decadente e un po’ fuori dal tempo, riesce a conservare quel giusto fascino per poter ancora sopravvivere. La classica cinquina dei libri finalisti è stata superata da un’inedita settina, esigenza dovuta ad un regolamento volto a garantire la presenza delle piccole case editrici. I titoli finalisti sono stati assolutamente meritevoli della conquista dello spazio nella finale, guardano sì al passato ma hanno un occhio all’analisi sul presente. Il romanzo vincitore, più degli altri sei, è stato proprio questa cosa qui.
Spatriati (Einaudi, 288 pp., 20 euro) è un romanzo pubblicato lo scorso anno da Mario Desiati, scrittore pugliese tra i più bravi della sua generazione. Probabilmente il fatto di sentirsi parte della generazione, di essere oggi nella fascia 30-40 anni, ha fatto sì che questo romanzo abbia sintetizzato al meglio il miscuglio dei vari aspetti di sentirsi presenti/assenti nella società di oggi. La storia ha per protagonisti Claudia (ragazza imprevedibile, stravagante, carattere forte) e Francesco (lui invece apparentemente più insicuro). Il destino di questi due si basa essenzialmente su quanto si sentano di appartenere al loro territorio d’origine, la costante ricerca di confini personali che non siano quelli della famiglia e della formazione. Impresa titanica. Lei decide di muoversi prima a Londra, poi Berlino. Lui invece decide di viaggiare dentro di sé, con il corpo attaccato alla sua terra. In questa esplorazione creano un legame che li unisce sempre più.
C’è senz’altro una scrittura con tratti di dolcezza e ferocia che provano nel difficilissimo ed ambiguo esercizio di descrivere una generazione usurpata e osteggiata. Non è questo romanzo a decidere il riscatto o meno del manipolo dei 30-40enni italiani. Però è un modo immediato e vicino alla realtà per inquadrare quel sentimento rispetto alla difficoltà di imporsi, di trovare uno spazietto di mondo nella vasta galassia del dubbio. Trovare uno spazio che non è solo avere la fortuna di avere un portafoglio discretamente pieno, un lavoro confortevole e una casa di proprietà. C’è la necessità di manifestare la propria identità, interrogare il proprio corpo e la propria coscienza. Forse per questo i 30-40enni rimangono una generazione inespressa e fondamentalmente incomprensibile (non necessariamente per colpa loro).