Da poche settimane è arrivato nelle librerie il primo romanzo giallo della scrittrice e sceneggiatrice italiana Francesca Serafini. Si chiama Tre madri (La Nave di Teseo, 304 pp., 18 euro), il titolo prende spunto da un brano di Fabrizio De Andrè e rappresenta un innovativo romanzo giallo italiano. Questo perché, rispetto ad altri romanzi gialli letti negli ultimi anni, mescola in modo saggio contenuti e particolari diversi rendendo interessante lo sviluppo delle vicende e dei personaggi.
Il romanzo parte con il racconto della vicenda di Lisa Mancini, commissaria trentatreenne che ha raggiunto traguardi importanti in carriera. Improvvisamente, senza alcuna apparente ragione, lascia il posto prestigioso all’Interpol di Lione. Arriva a dirigere il commissariato di Montezenta, piccola cittadina romagnola. Una città che riassume perfettamente gli stereotipi della provincia italiana. L’atteggiamento della commissaria è di insofferenza per quel luogo, disinteresse alla vita del commissariato stesso, poca empatia nelle relazioni. La sua routine si chiama Candy Crush, il suo gioco nel cellulare. Un giorno scompare River, il tipico bravo ragazzo voluto bene da tutti, che vive poco fuori Montezenta in un villaggio oggetto di critiche da parte della comunità. Quella ricerca è un incentivo per Lisa per provare a risvegliare uno spirito costruttivo dentro sé, una fiamma che sembrava spenta per motivi ancora ignoti. Il legame che si crea tra la madre di River e Lisa è un ulteriore stimolo a ritrovare passione per il proprio ruolo. La maternità che diventa oggetto di sintesi, di analisi, di ricognizione di tutte quei lati così nascosti in Lisa. Alla scomparsa di River infatti si aggiungono l’omicidio di una bambina cinese e la morte di una donna anziana del luogo. Sembrano scenari indipendenti ma vanno a collegarsi nel flusso del racconto più di quanto si pensi.
Un giallo in cui non si sprecano e non appaiono pretestuose le citazioni filosofiche, musicali, letterarie. L’uso delle parole, la scelta delle terminologie, la delicatezza o la ferocia scelte sono la cifra stilistica evidente e apprezzabile di questo romanzo. Un romanzo che è necessario leggere e non è facilmente riassumibile proprio perché costruito su una serie di collegamenti e citazioni che lo rendono godibile. L’atmosfera del racconto sembra svanire e rendersi realtà in poche righe. Un romanzo che gioca tra il giallo e il racconto psicologico, in cui vincono le intenzioni di cercare di capire cosa c’è al di fuori del proprio seminato, dentro le proprie paure, in mezzo alle mille influenze che contribuiscono a renderci come siamo. Si riflette, si legge e si rimane soddisfatti nel capire come i punti di vista non sono mai ciò che vengono osservati in modo sbrigativo.