Nella Monreale di un centinaio di anni addietro era uso corrente identificare le persone in modo diverso da quello sancito dai registri anagrafici. L’identificazione avveniva ricorrendo all’attribuzione dei soprannomi, delle’nciurie, che, sature spesso di ironia e sarcasmo, tratteggiavano magistralmente le caratteristiche fisiche e comportamentali del relativo titolare. Oggi, forse con l’intento di recuperare l’antica tradizione cittadina, anche ai solidi geometrici si appioppa la ‘nciuria: il solido che, su fondati presupposti scientifici, è sempre stato definito “prisma” irregolare retto a base triangolare scalena poggiato su una faccia laterale, da noi, cambiando pure genere, è diventato la “piramide”.

Mi riferisco, com’è facile intuire, alla discussa struttura, posta in piazza V. Emanuele, all’imbocco di via San Cristoforo, la cui visibilità è eccessiva e la cui funzione resta incomprensibile. Se non è consentito varcare l’ibrida struttura per recarsi nel sottosuolo, lo strano manufatto a che serve, a impedire l’accesso alle grotte? Se l’esigenza era quest’ultima, non sarebbe bastato saldare il tombino? Lo storico tombino attraverso il quale, nei primissimi anni ’60, una spedizione di artisti in erba, guidata dal Prof. Benedetto Messina, si calò per andare a riprodurre sulle tele le suggestive caverne. Anch’io frequentavo la “bottega” da cui partì l’iniziativa ma, in quell’occasione, mi tirai fuori: un po’ temendo l’attacco di panico, un po’ per la consapevolezza che l’odore di zagara ce lo saremmo lasciato alle spalle e, infine, perché per andare incontro all’ispirazione preferivo passaggi meno angusti.

Tornando al solido mutante, al prisma soprannominato piramide, devo, quindi, supporre che sia stato fortemente voluto per il suo valore simbolico, quale promemoria, sempre sotto gli occhi di tutti: la “piramide” come metafora della gerarchia cittadina. La parte più bassa e più ampia è il luogo del popolo, di tutti noi semplici cittadini. Via via, salendo, trovano posto, metaforicamente, tutti coloro che occupano posizioni emergenti, ruoli fondamentali, come i presidenti di associazioni, di confraternite, di circoli e consorzi, i consiglieri comunali, i responsabili dei CAF, i coordinatori di gruppi parrocchiali, gli amministratori di condominio, etc. etc.. Fino ad arrivare al vertice della piramide, dove i posti sono obbligatoriamente riservati a chi conta veramente: all’intera Giunta comunale. Posizionarsi al vertice è indiscutibilmente motivo di orgoglio: il riconoscimento di essere veramente qualcuno! Ma per stare (metaforicamente) seduti sulla punta della piramide bisogna alternarsi, c’è poco spazio e può anche essere molto … molto scomodo. Da qui, suppongo, sia nata la grande furbata, che può spiegare tutto: hanno fatto costruire un prisma, adagiato su una faccia, in modo da potersi sedere (metaforicamente) in tanti e con minore… fastidio sullo spigolo appiattito, posto più in alto. Si è poi optato per il soprannome, a ‘nciuria: la “piramide”, che più efficacemente evoca, in modo metaforico, la diversa levatura dei singoli appartenenti alla comunità cittadina. Un monumento all’abnegazione, alla modestia, alla capacità di essere autocritici, all’abilità di arrivare più in alto possibile…!

Coloro i quali, in qualsiasi tempo e contesto, nella scala sociale hanno occupato la pole position, oltre che dalla punta della piramide, sono stati molto punzecchiati da penne e pennelli intinti nell’ironia, nella satira e nel sarcasmo. Da Jeronimus Bosch (Hertogenbosch 1453 –1516) a Marco Dambrosio (Makkox), (alle cui straordinarie performance, fatte di segni e di parole, è possibile assistere durante le trasmissioni di Gazebo su Rai3) non è stato risparmiato nessuno. Una categoria di artisti che spero sia eternamente rimpinguata (come il vino perpetuo) e alla quale mi piacerebbe affidare un mio futuristico progetto. Giorni fa, ripensando, al famoso dipinto “I Funerali di Togliatti” di Renato Guttuso ed al colore rosso in esso prevalente, mi sono interrogato su come e da chi potrà essere rappresentato, fra cento anni e facendo subito le corna, un analogo dipinto da dedicare all’attuale segretario del Partito Democratico. Ho immaginato un corteo di fiammeggianti Ferrari, con antenne e parasole abbassati in segno di lutto, guidate dai nipotini dei grandi azionisti delle quattro banche recentemente salvate e rese “nuove”, i cui logotipi appaiano, sventolanti, sulle uniche bandiere presenti al corteo. Sugli spalti in alto a destra, come nel quadro di Guttuso, niente operai in tuta blu, bensì l’applauso dei bancari, forzatamente costretti negli indumenti attillati di Prada e di Dolce & Gabbana, salvati e professionalmente riqualificati per continuare, più abili di Houdini, a far sparire i risparmi di tanti fiduciosi e ingenui pensionati.
Alla categoria di artisti che hanno colmato di satira e sarcasmo segmenti importanti della storia dell’arte appartiene, appunto, FRANZ BORGHESE, come ben si evince dall’opera esposta presso la nostra Galleria civica. I personaggi che popolano le sue opere hanno indotto la critica ad aggregare l’artista romano a un prestigioso insieme di artisti europei, affini per forma espressiva. George Grosz (Berlino, 1893 –1959), che con i tratti della satira rappresentava l’ umanità impazzita e preda della corruzione e del male. Otto Dix (Gera, 1891 – Singen, 1969), che esasperava le caratteristiche somatiche dei personaggi, spinti fin quasi alla caricatura, per rappresentare gli orrori della guerra. James Ensor (Ostenda, 1860 –1949), artista belga che, dopo aver dipinto con forti riferimenti all’arte fiamminga, illuminava e vivacizzava la tavolozza e inventava un mondo frequentato da maschere, scheletri, spettri e demoni, per mettere in satira i vizi del mondo borghese. Ed infine Mino Maccari (Siena, 1898 – Roma, 1989), altro artista che usava una tavolozza vivace e intrisa ti toni satirici, di diversa ispirazione, ma del quale ci occuperemo in altro momento e più a lungo, considerato alcune sue opere fanno parte della Donazione Posabella.
Come di consueto, affido alla breve nota biografica il compito di raccontare di più sull’artista di oggi, e io, come al solito, mi faccio ritrovare subito dopo.
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FRANZ BORGHESE, pittore, scultore e incisore italiano, nasce a Roma il 21 gennaio 1941 e compie i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti con Domenico Purificato e Giuseppe Capogrossi.
Nel 1964 fonda la rivista d’arte e cultura “Il ferro di cavallo” e dipinge «La ballade des pendus». Ironico narratore delle consuetudini e delle alienazioni della borghesia cittadina, con Daniela Romano, Giorgio Fasan e molti altri, racconta nel film-pittura sperimentale «La grande mela», la società dei consumi, attraverso stereotipi grotteschi. Le sue prime personali, nel 1968 alla Galleria “N.F.1” e alla Galleria “Il Calibro” dove, oltre alla carica di sarcasmo e nell’ironia, si manifesta il personalissimo cromatismo della tavolozza.
Famoso già verso la fine degli anni ’60 (nel 1968 il Comune di Roma acquista un suo quadro), nel 1971 sorprende il mondo dei critici con una serie di dipinti dal tema “Processo alla Borghesia” dal quale emergono l’elevato livello espressivo e le affinità con Grosz, Dix, Ensor e Maccari, subito percepite da Dino Buzzati, anch’egli pittore, che gli dedica un pezzo lusinghiero su “Il Corriere della Sera”. Franz Borghese ha anche lavorato, a quattro mani, con Salvatore Fiume ad un quadro di grandi dimensioni, “La condanna di Cristo”, destinato ai Musei Vaticani. Una delle sue ultime esposizioni, è stata inaugurata a Palazzo Venezia, a Roma, il 14 settembre 1971, tre mesi prima della sua inattesa scomparsa.
Il 16 Dicembre 2005, la morte ha colto l’artista nel suo studio a Roma, mentre dipingeva.
Tra le mostre più significative, organizzate dopo la scomparsa dell’artista, l’antologica di Spoleto allestita nel 2013, in occasione del Festival Art Expò. (Fonte:sintesi dal sito Internet dell’artista)

L’opera di Franz Borghese esposta alla Galleria Sciortino è “Figure”, olio su tela, cm 50×40. Espressione assolutamente coerente all’immaginario dell’artista, la tela ospita cinque goffi personaggi, il cui abbigliamento ne dichiara la classe di appartenenza nello schieramento sociale. I volti segnati da immancabili baffi e caratterizzati da nasi grotteschi, certamente predestinati all’infallibile fiuto negli affari. E poi i personaggi femminili, le gentili e tarchiate signore, incappellate e appese al braccio del consorte, quasi a farsi trascinare. Osservandone bene gli sguardi, però, indirizzati con assoluta certezza, non è difficile immaginare che si tratti di una recita … di una funzione destinata agli spazi pubblici, e che, poco dopo, tra le mura domestiche, i ruoli subiranno un vero e proprio ribaltamento.
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Eccomi qui!
Grazie all’Ufficio stampa del Comune, le notizie sugli eventi e le dichiarazioni degli assessori rimangono, indelebili come pietre miliari, negli archivi del Web. In un comunicato stampa, del 21 gennaio 2015, l’assessore Ignazio Zuccaro, dopo l’incontro con un gruppo di artisti monrealesi, dichiarava: «Sono soddisfatto e ringrazio tutti coloro che hanno partecipato ed aderito con entusiasmo a questo primo incontro – affermava l’assessore– Si tratta di prestigiosi rappresentanti della vita culturale ed artistica della nostra città, professionisti seri, ed è grazie alla loro esperienza ed al loro contributo che si potrà dare inizio ad un nuovo percorso. È chiaro che siamo al punto di partenza ma questo rappresenta per tutti, come stabilito, il “punto ZERO” che mira a ridare lustro e prestigio agli spazi espositivi e culturali della nostra città». L’assessore, per ripartire dal “punto Zero”, aveva assunto l’impegno di impedire, da quel giorno in poi, lo svolgimento, presso la Galleria Sciortino, di eventi espositivi “a pagamento”. Quel tipo di mostre, cioè, per partecipare alle quali, gli artisti “invitati” devono corrispondere, a beneficio di chi organizza, quote di partecipazione in denaro più o meno consistenti, pena l’esclusione.
In un comunicato dell’ufficio stampa del Comune, pubblicato nei giorni scorsi, testualmente, senza cambiare una virgola … così si legge: “Positivo riscontro sia di pubblico che di critica per la VI Biennale D’Arte Contemporanea Italiana Lecce che per volere dell’amministrazione comunale è stata inserita tra le iniziative inserite nel calendario delle manifestazioni organizzate in occasione dei festeggiamenti del Santissimo Crocifisso. Sabato 21 maggio alle ore 11.30 si terrà il FINISSAGE al quale vi prenderanno parte il sindaco Piero Capizzi, l’assessore alla Cultura Nadia Granà e l’assessore al Turismo Ignazio Zuccaro…”. Durante i sedici mesi trascorsi tra i due comunicati stampa, è stato un proliferare continuo di quel tipo di eventi. L’Assessore, che ha così patentemente disatteso il categorico impegno assunto al debutto, avrà avuto certamente le sue brave ragioni…! Mi piacerebbe conoscerle.
E a questo punto il discorso si fa serio, perché il momento è delicato e stimola i sentimenti. Le cronache cittadine informano, già da un po’ di tempo, sul crescente ribollio nel pentolone del rimpasto di Giunta. Ho letto le accorate dichiarazioni dell’attuale assessore al Turismo, che, tra l’altro, ha detto – “… La gente mi deve giudicare per il lavoro che ho fatto, non perché sono il fratello del segretario comunale del PD…” – e ancora – “… Potevamo fare di più? Ovvio, ma direi che le cose nel bene e nel male le abbiamo fatte!…”. Avviandosi alla conclusione si è così interrogato: “Fare spazio per fare entrare qualcuno?…”. E alla fine, escludendo, in modo lapidario, che rileggeremo il suo nome tra quelli dei candidati alle prossime elezioni, ha così concluso: “Cosa farò io? Mi dedicherò a mia moglie, a mio figlio e alla mia famiglia. Ho sottratto loro troppo tempo”. Pur se rincuorato da queste ultime affermazioni, avrei tanta voglia di annotare alcune mie considerazioni. Vorrei ricordare subito, al carissimo e giovane assessore, i momenti successivi a quell’incontro organizzato al suo debutto sulla vetta della piramide, e le cose, fatte e non fatte, che da quella riunione, ma anche da altri incontri, sono, o no, scaturite. Non mi piace, però, non poter interloquire. Mi piacerebbe molto di più sedermi con lui a un tavolo e, dopo aver recitato la formula di rito “giuro di dire la verità …”, scrivere un pezzo a quattro mani da rendere pubblico, magari domenica prossima, in questo stesso spazio. Spero vivamente in un cenno di adesione, e, nell’attesa, mi concedo un’ultima riflessione: quando ci si rende conto di poter essere più utili altrove, in famiglia soprattutto, è bene decidere tempestivamente, senza indugi e nell’interesse di tutti! Senza attendere che gli imprevedibili eventi costringano a scendere dalla punta della “piramide”… che, nella vera sostanza, tale non è!