“Tu popolo d’emigranti
Sicilia mia.
Partire è un po’ morire
Il tuo malinconico canto,
lontano da questi cari monti
e dal mare che t’accarezza
in luminosa onda d’amore
sotto un cielo limpido
di sogni.
No… non spegnerà
il vento del destino
l’anelito d’un ritorno
nel cuore dei cari affetti”
A.S.
Non so voi ma io ho parenti in America, due cugini e chissà quanti altri parenti di mio nonno emigrati nei primi del Novecento.
Non tornò più nessuno dal quel mondo nuovo, conoscevo soltanto i loro visi dalle foto che riceveva mio nonno nella corrispondenza che tratteneva con loro.
Di molti non ho nessuna notizia, a parte due cugini con cui ci siamo rivisti per caso su facebook e da allora ci sentiamo ogni tanto, sono discendenti di un fratello di mio padre, Domenico, che era il più piccolo e di cui conosco le motivazioni e le avventure di quando approdò in America.
Erano i primi del Novecento attorno agli anni ‘20 quando in seguito alla morte di mia nonna i due figli, uno di 4 anni, Domenico, e Benedetto che ne aveva 14, partirono clandestini con uno zio che aveva deciso di emigrare come tanti altri per questo mondo nuovo in seguito alle notizie positive che arrivavano dall’America.
Si diceva che c’era lavoro per tutti e che si guadagnavano molti dollari tanto da arricchirsi.
In quell’epoca in Sicilia c’era tanta povertà e queste notizie incoraggiarono molti siciliani a lasciare la propria terra ed emigrare, ma non erano tutte rose e fiori tanti erano gli ostacoli da superare, come il viaggio che durava un mese e il distacco struggente dai propri cari e dalla propria terra d’origine.
Negli anni ‘50 c’era in voga una canzone napoletana classica, “Santa Lucia luntana”, che mia madre cantava spesso ed io ad ascoltarla mi commuovevo perché descriveva il momento del distacco dalla banchina, della nave carica di emigranti che lasciavano al porto i parenti che sventolavano i fazzoletti bianchi convinti che non li avrebbero più rivisti. Loro, gli emigranti, erano combattuti tra l’entusiasmo della partenza per andare incontro ad una vita migliore e il distacco straziante dagli affetti più cari.
Oggi mi immagino quante difficoltà hanno dovuto superare, il doversi abituare a condizioni climatiche e a stili di vita diversi dalla nostra terra. Da paesi di montagna alle grandi metropoli. Il dovere imparare la nuova lingua e soprattutto trovare un lavoro, la cosa più difficoltosa.
Molti avevano la fortuna di andare a ricongiungersi con parenti che si trovavano già sistemati in luogo e grazie ad un atto di richiamo come garanzia facevano trovare loro un posto di lavoro.
Ma c’erano quelli che non avevano nessuno e per loro era veramente un’avventura. Molti fecero fortuna perché trovarono lungo il loro cammino altri connazionali che li aiutarono ad inserirsi nella società americana. Altri sono stati meno fortunati perché restarono prigionieri nelle maglie della mafia che in America aveva prosperato.
Per gli emigranti clandestini c’è da fare un discorso a parte, perché questi, per partire, si affidavano ad una organizzazione illegale, come successe a questi miei due zii che, arrivati in America, andarono a finire nelle mani di gente di malaffare che li impiegarono e sfruttarono per un lungo periodo in lavori non regolari come, per esempio, il contrabbando di alcolici. Soltanto dopo moltissimi anni riuscirono a rendersi autonomi e crearsi una loro vita lontano da queste organizzazioni.
Un po’ come oggi succede agli emigranti che arrivano dalla costa africana con i barconi e che vanno a finire nelle mani di gente senza scrupoli che li sfrutta facendo fare loro una vita da schiavi. Una grande tristezza. Io penso che gli emigranti, se ben inseriti nella nostra società, dovrebbero considerarsi una risorsa.
Tolta questa breve parentesi e ritornando all’America, tra il 1920 e il 1933 c’era il proibizionismo. In pratica la società dei puritani in continua crescita nel XIX secolo affermava che il consumo dell’alcool stava danneggiando l’America e distruggendo le famiglie generando corruzione.
Allora cosa successe? Durante la prima guerra mondiale, nel 1917, non appena l’America entrò in conflitto, il governo, accogliendo la richiesta dei puritani e anche della Chiesa, bloccò temporaneamente la produzione dell’alcool, anche se in realtà il vero motivo era quello di risparmiare il frumento per l’azione di guerra. In seguito alle pressioni dei puritani e degli enti religiosi si arrivò ad una legge costituzionale e fu così che aumentò via via il contrabbando dell’alcool.
Ma ritorniamo a mio zio Domenico. Dopo 50 anni circa, avendo messo da parte un po’ di dollari, decise di farsi la crociera con la moglie Rita. Quando la nave toccò Palermo, invece di continuare il giro turistico, si fermò alcuni giorni per potere riabbracciare i fratelli.
Ricordo che lo andammo ad accogliere al porto con una foto in maniera da poterlo riconoscere quando sarebbe sceso dalla scaletta della nave. Quell’anno, era il 1968, mi sembra, si fermò 4 giorni. Venne ad alloggiare da me e furono giorni memorabili trascorsi velocemente tra un parente e l’altro, e tutti facevamo a gara per fargli assaggiare le nostre specialità siciliane. Ho un bellissimo ricordo di loro perché quando appresero che mi dovevo sposare nell’anno successivo, mi regalarono l’abito da sposa che ancora conservo e che hanno usato anche le mie figlie, talmente era bello.
In un momento di privacy con mio padre, Mimì sfogo il suo livore contro quello zio che una volta arrivati in America costrinse il fratello maggiore, e anche lui, appena diventò più grande, a darsi al contrabbando.
Anche mia suocera aveva parenti in America. Riceveva da loro il “pacco” e quando scrivevano anche qualche dollaro. Mio marito mi racconta che quando il postino portava le lettere (quella con l’orlo colorato che si usa per spedire le lettere in America, vi ricordate?) la aprivano con la speranza che assieme alla missiva ci fossero i dollari e quando li vedeva uscire dalla busta gli sembrava che in America bastava che si scavasse in terra per trovarvi i dollari.
Oggi l’America non è più grande meta di flussi migratori dal continente europeo come in quegli anni di grande miseria.