Vi voglio raccontare come è iniziata la mia storia con mio marito. Una storia ambientata negli anni ’60. Ebbene, noi sfidammo le usanze dell’epoca perché Aldo, senza coinvolgere i suoi genitori, chiese direttamente a mio padre il permesso di frequentarmi e lui, che lo conosceva e sapeva che era un bravo ragazzo, glielo consentì.
Eravamo giovanissimi, io 15 anni e lui 22. Questa storia durò 7 anni, ogni tanto ci prendevamo una pausa di riflessione e poi si ricominciava.
Aldo non passò e spassò mai sotto il mio balcone per corteggiarmi da lontano come di solito faceva la maggior parte dei ragazzi di quell’epoca, ma mi veniva a trovare direttamente a casa. Ci conoscevamo da quando avevamo pranzato insieme alla sua famiglia presso la casa dei miei zii. Veniva con la scusa di portarmi dei libri da farmi leggere e poi ogni scusa era buona per venirmi a trovare, fino a quando non chiese a mio padre, che si era già adombrato e preoccupato di questa assiduità, il consenso di continuare a frequentarmi per conoscerci meglio.
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Il “picciotto” di una volta, adocchiata la “picciuttedda” che non usciva mai da sola, la seguiva da lontano fino a casa e poi cominciava il corteggiamento passando e spassando sotto il suo balcone. La “taliava” e qualche volta organizzava qualche serenata, fino a quando la “picciotta” faceva capire che anche lei aveva interesse per lui e allora si passava al secondo atto.
Si mettevano al corrente i genitori che, prima di dare il loro consenso, si informavano per sapere se avevano a che fare con una famiglia rispettabile e sulle prospettive future. Solo se rimanevano soddisfatti si facevano i primi passi per conoscerla.
Ricordo che c’era un detto a proposito di fidanzamenti che diceva così: “i passiri chi passiri e i pittirrussi chi pittirrussi”. Penso che chi legge capisca a cosa si riferisce questa frase, è evidente il significato sottinteso che ognuno si doveva sposare con un partner dello stesso livello sociale.
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Ritornando ad Aldo, innamoratissimo, non ascoltò il parere dei suoi genitori che avrebbero voluto rimandare questo legame con me fino al conseguimento della sua laurea. E così continuammo a frequentarci fino ad arrivare al giorno del matrimonio. Mi veniva a prendere a scuola e mi accompagnava a casa, oppure ci incontravamo in piazza per farci una passeggiata insieme e conoscerci meglio.
Il bello delle nostre passeggiate stava nel fatto che non avevamo appresso il corteo dei parenti che era solito allora accompagnare i fidanzati nelle loro passeggiate. Un vero e proprio stuolo di sorelle, madri e padri e chi più ne ha più ne metta.
A quell’epoca, quando due ragazzi simpatizzavano e i parenti erano d’accordo su questa relazione, c’era la cosiddetta “spiata ru matrimoniu”. In pratica i genitori del “picciotto” si recavano in casa della futura “zita” per conoscerne la famiglia, portando un fascio di fiori, mentre il ragazzo portava l’anello. Un incontro importante allietato da dolci e caffè.
Una volta ufficializzata la conoscenza, si mettevano d’accordo sulla data del matrimonio, che poteva variare da uno a due anni, sulle spese del matrimonio in chiesa, sull’arredamento della casa e su tutto ciò che girava attorno a questo futuro evento. Un momento tanto atteso era quando la “zita” mostrava alla futura suocera il suo corredo rigorosamente ricamato tutto a mano che teneva conservato nella “cascia”.
Una volta raggiunti gli accordi, si ufficializzava il fidanzamento per presentare la coppia ai parenti e si organizzava la festa. Se la casa era capiente, la festa si svolgeva in casa, oppure si affittava un locale con un complessino musicale per rendere allegra la serata.
Ma se non c’era nessun accordo da parte delle famiglie e “i picciotti” invece erano innamorati e avevano una volontà ferrea di sposarsi e crearsi una famiglia, finiva tutto con la classica “fuitina”, mettendo i genitori davanti al fatto compiuto.
Allora si organizzava, dopo la pacificazione, un matrimonio poco eclatante. Ci si sposava alla chetichella in chiesa, la sposa senza velo con un abito elegante e il bouquet, ma non nella navata principale, come di solito si svolgono queste cerimonie, bensì in sacrestia, come mi raccontava mia madre, perché anche la chiesa era retrograda in quell’epoca, parliamo degli anni ‘50, e non accettava che il matrimonio fosse stato consumato prima della cerimonia.
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Una mia carissima amica, considerata di famiglia umile perché il padre faceva il calzolaio, conobbe un “picciotto” durante una gita organizzata dalla sua parrocchia. Fu un colpo di fulmine tra i due che cominciarono subito a frequentarsi.
Ma i genitori di lui, quando vennero a conoscenza di questa relazione e dopo avere chiesto le informazioni come si faceva di solito prima di “spiari u matrimoniu”, fecero ferro e fuoco per fargliela lasciare, se no lo avrebbero buttato fuori di casa.
“Sono pezzenti, con chi ti vai a unire?” gli dicevano. “Tu, avvocato, con la figlia di un calzolaio!?”.
“Ma è una brava ragazza ed è pure diplomata!” rispondeva loro. Ma loro furono irremovibili. Lui avrebbe voluto ufficializzare questo fidanzamento perché il padre di lei, avendo saputo che la figlia aveva un ragazzo, voleva che la cosa si rendesse ufficiale. Insomma questi “picciotti” erano tra l’incudine e il martello e sembrava che questa storia non avesse soluzione. Ben presto lui cominciò a lavorare e, abbandonata la casa paterna, si affittò una casetta a Palermo insieme ad uno studio. Per nulla disposti a rinunciare al loro amore, un giorno decisero di ricorrere alla classica fuitina e andarono a vivere insieme nella casetta che lui aveva preso in affitto.
La ragazza, mentre allora mi raccontava la sua storia, piangeva, perché soffriva di non essere stata accettata da questa famiglia legata a vecchi stereotipi e pregiudizi sociali.
Non scendo nei particolari perché sarebbe lungo da raccontare. So che si sposarono alla chetichella come tutti i giovani nella loro stessa situazione.
Un altro episodio di “fuitina” riguarda mio nonno diciottenne, addirittura nei primi del ‘900. Si era invaghito di mia nonna allora fanciulla incontrando subito le ostilità dei suoi parenti, che non volevano saperne di lui completamente. Allora organizzò la classica fuitina d’accordo con la sua “picciuttedda”.
Affittò una carrozzella con un bel cavallino e se la portò in campagna dove aveva una casa rurale, l’ideale per la loro fuitina.
Questo fatto non l’avrebbe dovuto sapere nessuno, se no che fuitina era!? Invece lungo il tragitto incontrarono alla “strada nuova” una persona che li riconobbe. Vi immaginate un picciottu e na picciuttedda “suli ‘nna carrozzella e setti ri matina” nei primi del ‘900?!
Chissà quante ne passarono prima di sposarsi….. ma questa è un’altra storia.
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In alcuni casi negli anni’50 il fidanzamento e il matrimonio veniva combinato dai genitori che costringevano i propri figli a fidanzarsi per interessi economici. E in questo caso i figli subivano la loro volontà sposandosi senza amore.
Su richiesta della madre dello sposo “u sansali” si recava a casa della “picciotta” per proporre il matrimonio al padre che dopo avere esaminato la proposta comunicava la sua inappellabile decisione alla propria figlia.
Da quel momento in poi la coppia non poteva uscire da sola e doveva essere sempre accompagnata da parenti di entrambe le parti.
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Ritornando alla mia esperienza personale, Aldo già lavorava e aveva messo da parte qualche risparmio, per cui decidemmo di organizzare personalmente il nostro matrimonio senza interferenza dei nostri parenti.
Quando fu ora del matrimonio non seguii le usanze di quell’epoca, come per esempio esporre la mia dote, un’usanza questa allora molto viva, per cui la “zita” esponeva in casa tutto il suo corredo, tanto che l’abitazione si trasformava in una specie di negozio. Su canne poggiate sopra i mobili venivano appese camicie da notte, vestaglie invernali ed estive e abiti, mentre, sui tavoli, servizi da cucina, lenzuoli, asciugamani e servizi da tavola ricamati rigorosamente a mano, e in un altro angolo tutti i regali che gli invitati portavano in dono alla futura sposa. Era per loro l’occasione per ammirare tutta la dote esposta.
Oggi niente di tutto questo. Si preferisce comprare tutto all’ultimo momento nei centri commerciali, invece di lenzuola ricamate si preferisce usare biancheria colorata facile da lavare e stirare. E se qualcosa di ricamato c’è, viene conservato in un cassetto fino ad ingiallire, lasciandolo alle figlie femmine che a loro volta non lo useranno mai, conservandolo come ricordo di un tempo che fu.
Oggi è tutto cambiato. Molti non si sposano più in chiesa, preferendo andare a vivere insieme per essere liberi da vincoli. In pratica sono eterni fidanzati che, al momento opportuno, se non vanno più d’accordo, vanno per la propria strada, magari creando una nuova famiglia.
I genitori non si coinvolgono più come prima, quasi quasi si conoscono il giorno stesso del matrimonio come invitati.
Fidanzamento e matrimoni degli anni ‘50/’60 sono ormai solo un ricordo.