Vi vedo già con le pance abbastanza piene, parenti qua e là, hai fatto il tampone prima di venire? La mascherina la metto dopo mangiato? Che bel regalo, sognavo proprio questo (poi lo buttate nell’armadio o lo riciclerete). Con il Natale iniziano le festività più coinvolgenti dell’anno, volenti o nolenti. La pandemia ha impoverito un po’ la magia ma siamo sempre comunque circondati da canti e cibo. In passato si sono scritti dei racconti proprio per valorizzare il senso delle festività cioè la convivialità. Il canto di Natale (Feltrinelli, 144 pp., 7.50 euro) è un grande classico del 1843 di Charles Dickens. Nato come romanzo di critica alla società del tempo, in seguito è divenuto racconto icona dei festeggiamenti sublimato in cartoons, pièce teatrali e cinema.
Il protagonista del romanzo è il cinico e avaro Ebezener Scrooge, un banchiere anziano molto ricco che conduce una vita concentrata esclusivamente sul suo lavoro. Ha parecchi operai a suo carico che costringe a seguire orari massacranti e le festività natalizie per lui rappresentano un ottimo motivo per caricarli di ulteriore lavoro. Scrooge detesta i colori, i canti e il clima gioioso del Natale. Disgustato da tutto, in un 24 dicembre di una Londra nel 1843, di ritorno a casa, dopo aver maltrattato anche il suo unico parente (un nipote pio che tenta di invitarlo al pranzo di Natale), avrà una serie di incontri sconvolgenti. Dapprima vede il volto del suo ex socio d’affari tracciato nella neve. Entrato in casa farà degli incontri particolari. Incontrerà tre spiriti del Natale: passato, presente e futuro. Sono momenti che lo segnano e gli fanno capire che certe sue dinamiche quotidiane sono ingiustificate rispetto alla gentilezza del prossimo in cui s’imbatte tutti i giorni.
Si potrebbe quindi dire che le festività sono il momento di ricucire turbamenti familiari o amicali, di stare uniti in sicurezza, di non concentrare l’aspettativa sul regalo bello, di evitare ipocrisie, di evitare di essere cordiali adesso e insopportabili per tutto il resto dell’anno. Si potrebbe dire che la convivialità risiede anche in un tenero messaggino, nella gentilezza di un gesto, nella cordialità di un sorriso. Potremmo dire tante cose prendendo spunto da questo romanzo (che non muore mai) ma è meglio astenersi, lasciarvi scelta libera di come vivere questi giorni e dire “buone feste”. E adesso riprendete a mangiare.