La via Umberto I, conosciuta come Carrubella, per me non è una strada di passaggio come la piazza o il corso, ci devo andare di proposito. Era da molto che avevo il desiderio di farmi una bella passeggiata per ripercorrere i ricordi che mi legano ad essa ed in particolare alla Scuola dell’Arte dove sono stata insieme ad altri compagni una pioniera. Questa scuola era diretta dal Professore Benedetto Messina nei locali della sua abitazione proprio di fronte il convento del Boccone del Povero “Giacomo Cusmano”.
Un personaggio, Benedetto, che ha dato lustro a Monreale non solo per la sua attività artistica ma anche perché grazie alla creazione di questa scuola si sono formati tanti artisti. Mi limito a nominarne alcuni, come Piero Villanti, Sergio Mammina, Franco Nocera, Emilio Matera, e tanti altri mosaicisti che a Monreale creano varie opere artistiche come ad esempio Giosuè Cangemi.
Intanto vorrei anche dare alcuni cenni storici sul perché questa strada, che conosciamo come via Umberto I, la chiamiamo “Carrubella”.
Lo sviluppo del quartiere risale attorno al ‘400, chiamato in questo modo a causa della sua folta vegetazione formata da alberi di carrubo. Un frutto di cui io ero molto ghiotta, ma questo è un alimento che viene dato ai muli e agli asini. E alla Carrubella allora vi erano molte stalle e ricoveri per muli e asini che si nutrivano di questo frutto che il luogo offriva e che, come si diceva, faceva bene alla loro digestione.
Ma questo albero ha una sua caratteristica: è sempreverde, il suo legno duro, rossastro e pesante veniva usato anche per la costruzione di navi e mobili, per questo il quartiere era molto abitato da falegnami e artigiani che lavoravano il legno per uso decorativo, avendolo a portata di mano.
Una curiosità che riguarda questo frutto: i semi di questa pianta, ovali e molto duri, venivano usati come pesi per l’oro, l’argento e le pietre preziose.
Forse è proprio qui che Guglielmo II si addormentò, sotto un albero di carrubo, sognando la Vergine Maria che gli diceva di scavare perché avrebbe trovato il tesoro per costruire la cattedrale.
Iniziando dalla piazza Vittorio Emanuele mi incammino verso la via e subito sulla destra c’è la chiesa di Sant’Onofrio. Penso sia sconsacrata, perché dagli anni ’60/’70 e forse anche da prima veniva usata dalle ACLI, una associazione di lavoratori il cui assistente spirituale era Padre Fortunato Cinà. Molti i ricordi guardandola! Lì ci faceva volontariato mio padre che era l’addetto sociale dell’associazione e dopo di lui anche io per un certo periodo. Adesso c’è la sede dei “Fratelli del SS. Crocifisso”.
Pochi metri più avanti, alcuni gradini che scendono verso la Chiesa del Monte dove, quando ero ragazzina, frequentavo il catechismo. Una bella chiesa con tre navate, e all’altare maggiore, mi ricordo, c’era un quadro della Madonna dello Stellario e molte decorazioni con stucchi che brillavano come l’oro. Ma ora la vedo prigioniera d’impalcature in attesa d’un restauro che tarda a venire.
Andando avanti la strada si restringe per una ventina di metri: uno stretto budello, se si incontrano due macchine si blocca il traffico. Sulla destra, a metà strada, c’è un portoncino che consente l’ingresso ad una abitazione dove abitavano dei miei cugini che ricordo con tanto affetto. La moglie era figlia della sorella di mio nonno. Ogni tanto con mia madre li andavamo a trovare. Forse in questa stessa casa nei secoli scorsi ci abitava anche mio nonno quando era giovane. Sono stata sempre curiosa di sapere dove abitava, ma preferisco immaginare che la casa fosse questa, dato il legame di parentela che c’era con loro. Ricordo che lungo la scala ci tenevano una piccola grotta con la Madonna di Fatima che mi piaceva tanto e ogni volta che ci andavamo mi fermavo a guardarne tutti i dettagli. Ne avrei voluta una anch’io.
Percorro alcuni metri e subito sulla sinistra vedo il cancello e la rampa di scale che porta al Santuario della Collegiata che dopo il Duomo è la più famosa della città. È quella che nella vita religiosa occupa il primo posto, perché vi si venera il SS. Crocifisso fin dal 1624, periodo in cui a Monreale ci fu l’epidemia della peste. L’arcivescovo Venero implorò ai piedi del SS. la liberazione dal flagello. E da allora ogni anno il 3 maggio si porta in processione lungo le strade del paese.
Dietro la chiesa, all’esterno dell’abside, c’è un pannello settecentesco di maiolica, il più grande d’Italia per quel secolo, attribuito a Fra’ Giuseppe Mariani. Raffigura il Crocifisso che estende la sua protezione su Monreale e accoglie quanti vi arrivano. Sotto la sua immagine una scritta in latino dice: “Proteggerò questa città e la salverò per me”. Sembra essere la risposta del Crocifisso alle continue invocazioni del popolo monrealese “Grazia Patruzzu amurusu… Grazia!”
Ogni anno mia madre mi portava sempre alla novena del SS Crocifisso e non si perdeva un giorno, tanto che a forza di sentirla cantare con tutta l’assemblea ho imparato a memoria il canto secolare di “Corri o Figlio al Padre amato”.
Un po’ più avanti una bella fontana, mi avvicino per bere, ma all’improvviso mi sovviene in mente un episodio fastidioso che mi coinvolse mio malgrado, collegato al Boccone del Povero che si trova in fondo alla Carrubella.
Un tempo i locali appartenevano al monastero delle suore teatine, dopo il passaggio allo Stato dei beni ecclesiastici nel 1866 ospitò il Boccone del povero, uno dei primi fondati in Sicilia dal P. Giacomo Cusmano.
Quando i miei figli raggiunsero l’età scolastica frequentarono in questo convento l’asilo e le scuole elementari.
Un giorno uscendo dalla scuola con i miei figli accanto, mi trovai di fronte una scena: c’era nella strada proprio davanti la scuola un ragazzino che teneva immobilizzato a terra un compagno. Assistei alla scena che durò un bel po’, immedesimandomi nel ragazzino che stava subendo la prepotenza e per istinto, come se fosse stato un mio figlio a subire, mi avvicinai e gli diedi uno scappellotto per farlo smettere. Amici miei, forse era meglio che mi facevo i fatti miei e me ne andavo per la mia strada, ma lì per lì agii senza riflettere. Il ragazzino smise e mi guardò in malo modo, ma io ignorandolo me ne andai con i bambini. La cosa non finì lì.
Me lo ritrovai proprio davanti la fontana, cui ho già accennato, insieme ad altri ragazzetti della sua stessa età che mi circondarono minacciosi impedendomi di andare avanti. I mie figli non sapevano cosa stava succedendo. Ma immaginarono che eravamo in pericolo, perché il ragazzino con atteggiamento mafioso mi cominciò a minacciare. Non ricordo cosa mi disse ma per la verità mi spaventai e restai ferma come se mi fossi trovata davanti una muta di cani randagi pronti ad aggredirmi al primo movimento.
La piccolina si mise a piangere. All’improvviso intervenne una persona che abitava lì vicino e, dandogli un calcio nel sedere, fece sparire tutti quei ragazzini che prima erano spavaldi e dopo scapparono con la coda fra le gambe.
Ringraziai quell’uomo ma notai un’altra cosa che mi lasciò interdetta. Il figlio di questa persona si rivolse al padre, che era intervenuto per difendermi da quella marmaglia di piccoli mafiosetti, con queste parole “Picchi un ti facivi i fatti toi, chi ti interessa?!”.
Un altro atteggiamento dei tipici “nenti vitti nenti sacciu”.
L’indomani quando accompagnai a scuola i miei figli la mamma di quel ragazzino lo costrinse a chiedermi scusa.
Un altro ricordo, ma questo molto piacevole: un po’ prima del convento di fronte la Salita Tiro a Segno negli anni ’50 ci abitava la sorella di mia madre che aveva 3 figli, in quel periodo erano ancora piccoli come me. Perciò gira e rigira con la mia mamma eravamo sempre da lei perché io volevo stare con loro per giocare e anche perché mi piaceva il suo balcone da dove si poteva godere di una vista magnifica.
Durante la mia lunga passeggiata mi rendo conto che la Carrubella è un budello senza uscita e oggi al posto della vegetazione vediamo case su case iniziando dalla piazza, fino alla sua fine. Credo proprio che a causa delle ultime grandi costruzioni si sia impedito che si potesse aprire una strada verso Palermo agevolando così il traffico molto caotico della Carrubella.
Di verde c’è rimasto soltanto il panorama della Conca d’Oro che si ammira per un breve tratto della strada superando il convento G. Cusmano, da dove lo sguardo si infiltra tra le varie case costruite anche sotto la parete esterna della via.
Fonti:
1- Archivio Storico Biblioteca Comunale di Monreale;
2- Tutta Monreale di Giuseppe Schirò e Pino Giacopelli