Sanremo 2001, il rapper statunitense Eminem, sicuramente tra i più famosi al mondo, presentato da una Raffaella Carrà entusiasta, sale sul palco dell’Ariston. La sua esibizione lascia tutti esterrefatti, per non dire indignati.
La performance viene giudicata scandalosa e inconcepibile per l’Italia di soli vent’anni fa. La durezza dei suoi testi, le movenze trasgressive e quel dito medio spavaldamente puntato sul pubblico, sconvolsero e fecero gridare allo scandalo. L’Italia in questa circostanza, ma non solo, si dimostrò, ancora una volta, un Paese fuori dal mondo, vecchio, stantio, estraneo all’evoluzione musicale e sociale.
Era successo anche nel lontanissimo 1961, quando un giovanissimo Adriano Celentano, contestatore in fieri, cantò 24.000 baci, voltando le spalle alla platea.
Quattro lustri fa, o poco meno, lo stile crudo del rapper del Missouri, la sua voce martellante e per nulla soave, che batte un ritmo senza filtri su parole dissacranti, anziché su storielle d’amore a lieto fine, fu ritenuto inaccettabile.
Oggi il dominio del rap, come genere di riferimento in Italia e nel mondo, viene certificato persino da Spotify nelle classifiche degli ultimi anni.
Sanremo 2020, lo scandalo si rinnova e coinvolge il rap per la seconda volta.
Protagonista è, infatti, il rapper romano Achille Lauro, ma questa volta la pietra dello scandalo non è tanto il pezzo, quanto un’esibizione d’effetto che lo lascia seminudo sul palco, o meglio con una tutina color carne glitterata, firmata Gucci.
Nudo = Trasgressione?
Mi pare sia davvero triste, oltre che un pizzico bacchettone, un mondo che ancora si scandalizza per un nudo (tra l’altro neppure integrale) all’interno di uno spettacolo che entra in tutte le case degli italiani, qual è Sanremo, stigmatizzando un artista, senza neppure conoscerlo a fondo.
Una censura morale in un periodo come questo, dove soffiano, neppure tanto larvatamente, i venti di un revival piuttosto oscurantista. Forse è proprio Achille l’artista che meglio ha capito quanto, in questo complesso primo ventennio del nuovo millennio, l’unico modo di lasciare un segno forte, in un contesto sociale oppresso da nuove regole e limiti, è quello di offrire al pubblico un’idea di trasgressione evidente e determinata, ma non del tutto oltraggiosa. Una trasgressione soft che polarizzi l’attenzione su di lui, in due distinte fazioni che si contrappongono, tra chi già lo incorona come sovrano indiscusso del rap e chi lo ritiene un adepto di Satana che intende sovvertire il decoro e la buona creanza.
Personalmente sono sempre stata per la totale libertà di espressione. I corpi nudi non mi scandalizzano per nulla. Un corpo senza veli, anche dal vivo, sia che venga esposto in una istallazione d’arte, in un film, in teatro, al gay pride o semplicemente in una spiaggia non mi disturba affatto.
Le critiche morali, spesso particolarmente e inutilmente severe, sono frutto, secondo me e per la maggior parte dei casi, di un preconcetto radicato, ovvero che la trasgressione, nell’arte e nella vita quotidiana, sia un atto di egocentrismo, di ostentazione sterile, quasi un insulto.
Ergo…nudo = ego straripante.
Non dimentichiamo, però, che artisti di ben più elevato calibro rispetto all’autoctono Achille Lauro, pietre miliari dello scorso millennio, che hanno redatto per decenni la storia della musica, si lanciavano in esibizioni, da far sembrare Achille Lauro un chierichetto di campagna.
Lou Reed in concerto si iniettava eroina, usando come laccio emostatico il filo del microfono. Jim Morrison si intratteneva con le sue fan, sul palco, in performance sessuali, piuttosto esplicite. Per non parlare di David Bowie e Fraddy Mercury, dei loro ammiccanti e ambigui travestimenti. Ma anche in anni insospetti, ovvero nel decennio 1940/50, artisti jazz del calibro di Charlie Parker o Billy Holiday, si drogavano pesantemente, entrando in scena strafatti e barcollanti, per poi eseguire jam-session che sono entrate nel mito.
L’arte non può essere scissa dalla trasgressione, perché altrimenti sarebbe un fatto umano banale, non sarebbe in grado di rompere gli schemi e non riuscirebbe a creare nulla di nuovo.
In questa ulteriore serata sanremese, Achille Lauro, che interpretando il pezzo sofferto e indimenticabile di una donna intensa offre anche un indiretto tributo a un mostro sacro come Bowie, omaggiando, nella fattispecie, il suo alter ego Ziggy Stardust, simbolo di libertà estrema, attraverso un outfit potente e raffinato, per me ha già vinto.
Alla fine cos’è veramente la trasgressione, se non il frutto di una sensibilità e di un’umanità sovvertitrice e amplificata?
Ai posteri l’ardua sentenza.