Monreale, 31 dicembre 2016 – Alla fine di ogni anno viene naturale elaborare dei bilanci, a conclusione di un tratto di vita lungo 12 mesi. Riflettiamo su ogni breve, delimitata, sempre uguale porzione di esistenza, ragionando su cosa abbiamo ottenuto, su cosa abbiamo perso, ma soprattutto su cosa poteva essere e non è stato, applicando così alla vita stessa, una sorta di partita doppia, un “Dare-Avere” quasi aziendale, ove chiaramente, sotto la lente di ingrandimento, setacciamo e analizziamo, con attenzione, soprattutto gli eventi negativi.
Di tali eventi diamo, per tradizione, in parte, la responsabilità all’anno vecchio, quello appena trascorso, perché magari è stato portatore di sfortune e calamità, perché i precedenti 35 erano stati migliori, perché “Anno bisesto…Anno funesto”, perché “Il sangue di S.Gennaro non si è sciolto” e tanti altri clichè, più o meno fantasiosi, senza pensare che l’anno in sé non esiste, è solo “un’unità di misura”, una mera convenzione, un’algoritmo che regola il nostro esistere nel mondo.
Personalizziamo l’anno vecchio come se fosse un fardello materiale di cui liberarci in fretta e speranzosi, salutiamo il nuovo come agognato condottiero, come “Nunzio” di belle speranze, foriero di quelle novità che potrebbero fare finalmente svoltare le nostre esistenze verso il senso ipotizzato dalle nostre menti e dai nostri cuori. Una sorta di rito propiziatorio e ben augurante, che ci fa stare bene, ci permette di realizzare, per ventiquattrore, il sogno di un domani migliore, di una esistenza più equa e giusta per tutti.