Monreale, 29 marzo – Qualche anno addietro, occupandomi di grafica editoriale, ho avuto la fortunata opportunità di curare la pubblicazione de “Il Grande Viaggio in Sicilia – Viaggiatori stranieri nell’Isola dagli Arabi ai nostri giorni”, Arbor Edizioni, Autore Salvo Di Matteo. Quattro volumi per un totale di circa 2300 pagine che catalogano le presenze nell’isola di circa millecinquecento visitatori; grandi personalità della storia, della letteratura, dell’arte che hanno affidato alle pagine dei loro libri di viaggio originali narrazioni e, in molti casi, con il corredo di preziose immagini.
Il nome della nostra città, tra quelle pagine, è riportato ben quattrocentosessantatrè volte e vi si legge di tutto. Ecco, ad esempio, cosa scriveva Jean Houel, pittore paesaggista e incisore francese (Rouen 1735 – Parigi 1813) nel suo “Voyage pittoresque des isles de Sicile” nel 1782, per descrivere la strada che da Monreale porta a Palermo: “Le alte montagne da cui Palermo è circondata le danno acqua a profusione. Il genio dei suoi abitanti, naturalmente incline alla decorazione, ha adoperato queste acque per tutti gli usi possibili. Oltre all’utile scopo di rifornire Palermo, esse furono destinate a ristorare e rallegrare i viaggiatori per la loro abbondanza, e a compiacere la vista per la splendida e varia bellezza delle fontane. Vollero costruirsi, infatti, ai lati della strada, fontane di un’architettura non sempre regolare, ma sempre gradevole ed elegante. Per renderle più pittoresche ne hanno poste alcune fra alberi di varie specie. L’acqua sgorga nei modi più diversi: a zampilli, a colonna, a specchio, a cascata; in qualcuna ad ombrello. A ogni passo se ne trova una nuova, appare un quadro diverso, uno spettacolo incantevole …”.
Questo in generale il tenore dei racconti, con il costante osannare alla magnificenza del Duomo e allo splendore del Chiostro dei Benedettini.
Alcune volte, però, gli appunti dei viaggiatori mortificano, un tantino, l’orgoglio cittadino. Come quelli del conte lombardo Carlo Castone della Torre di Rezzonico che, venuto a Monreale una decina d’anni dopo, nel raccontare gli stessi luoghi così si esprimeva: “Il giorno 17 agosto (1793) andai a Monreale. La strada è bellissima e devesi all’Arcivescovo Monsignor Testa di Nicosia. Indicibile diletto provai nell’ascendere per comodissimi sentieri e vincere l’erta del monte a bell’agio e vagheggiare le suggette valli e le lontananze pittoriche della città, dei promontorj, della marina. Molte fontane ricreano lo stanco passeggero, ed opportune vedette e sedili l’invitano ad arrestarsi. Ma l’architettura è senza gusto, e le iscrizioni senza buona paleografia …”.
Lo stesso conte di Rezzonico, tornato a Monreale nei giorni 10 e 15 del mese successivo al fine di assistere alla “strana processione intitolata il Trionfo della Croce”, così registrava le sue impressioni: “Lo spettacolo era però meschinissimo per gli abiti e pieno d’incoerenza e d’anacronismi nelle figurate storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Eranvi molte prosopopee bizzarre … La morte, la peste, l’idolatria, il peccato, la guerra altresì v’erano personificate, ma invece d’orrore eccitavano il riso per l’inconcinnità delle stature e delle vesti …”.
Circa una ventina sono i disegni, gli acquerelli, le incisioni e le xilografie che rappresentano dettagli della nostra Città; recano le firme di Henry Swinburne (1777), Jean Houel (1782), Carl Ludwig Frommel (1816), Jakob Ignaz Hittorff e Karl Ludwig Von Zanth (1835), George Moore (1839), Philippe Benoist (1847), William Henry Barlett (1852), Émile Rouargue (1855), Alfred Metzener (1866), Felix Jean Gauchard (1877), Samuel Olman (1885), Gaston Vuiller (1893), oltre ad alcuni anonimi.
Tutte immagini molto riprodotte e conosciute ai più, tranne la più recente, la meno nota xilografia, datata 1932, opera dello straordinario Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 1898 – Laren 1972). Artista autodidatta che si dedicò interamente alla grafica e all’incisione, imponendosi nel panorama artistico per le sue insolite e paradossali invenzioni, caratterizzate dalla surreale ripetitività delle immagini, dalle ambigue e contraddittorie creazioni visive. Il suo lavoro ha destato l’attenzione e l’apprezzamento di matematici, fisici e filosofi, interessati alle sue distorsioni geometriche e, fra il pubblico comune, per le sue geniali “illusioni” grafiche. Nel 1923 si trasferì in Italia, a Roma.
Tra le sue litografie più note quella che raffigura due mani, ciascuna impegnata a disegnare l’altra. Molte delle sue opere sono percepite come veri e propri paradossi. Muovendosi da un punto di partenza veritiero ci si avvia, ragionando correttamente, verso traguardi irraggiungibili e conclusioni che pongono di fronte all’impossibile. Come quando si affrontano le sue famosissime “scale” lungo le quali si può continuare a salire o scendere per ritrovarsi sempre allo stesso punto.
Nel 1928 intraprese un viaggio nell’Italia centro-meridionale allo scopo di poter raggiungere luoghi suggestivi, fino alla Calabria e alla Sicilia, dove fu nel 1932. Alcuni disegni e xilografie ne attestano la presenza a Palermo, Agrigento, Segesta e Monreale.
Soddisfatta anche questa, pur preziosa, curiosità sono fortemente indotto a pensare, a riflettere e a sperare. Sono portato a fare ipotesi su quello che i grandi viaggiatori di oggi e di domani (quelli che vengono a visitarci senza presentarsi, rendendosi invisibili nel sovrabbondante e plurietnico flusso turistico) stanno annotando sui loro taccuini e sui blocchi da schizzi. Quali saranno i contenuti che, tra cinquecento o mille anni, un altro grafico dovrà impaginare, per dare corpo a una riedizione aggiornata del “Il Grande Viaggio in Sicilia”?
Allentando i freni della fantasia posso immaginare che le pagine scritte racconteranno di “una strada per Monreale dall’asfalto mal ridotto e affiancata, a monte, da frammenti marmorei di antiche opere d’arte, da manufatti irriverenti che (con la tecnica da disturbatori di cronisti televisivi) hanno presuntuosamente conquistato i “primi piani” e da insediamenti abitativi in parte piuttosto allegri e per il resto vistosamente incompleti”. Continueranno ad essere annotate, con dovizia, le lodi del patrimonio musivo del Duomo e della tempestività nel curarne la manutenzione. Ma i racconti di poi descriveranno, spero proprio di no, le “funzionali protesi al titanio” che potrebbero aver preso il posto degli irrimediabilmente dissolti capitelli del Chiostro dei Benedettini. Altre narrazioni riguarderanno, chissà, talune pinacoteche “definitivamente trasformate in centri commerciali, sui cui scaffali sarebbero state offerte in vendita anche le statuine dei Premi “Oscar”, per l’auto-glorificazione di neo-registi del selfie e dei video girati nel bagno di casa”. E forse si trascriveranno vicende di cronaca future come quelle che potrebbero riguardare l’insospettabile “direttore del museo cittadino, tale Artenio Lu Pinto, gran gentiluomo per carità, affetto però da una forma originale di cleptomania che lo induceva a sottrarre le opere migliori (quelle dei più ricchi di talento) per distruggerle e dare così evidenza agli artisti immaginari (i meno fortunati in quanto a capacità artistiche)”.
Qualche attento letterato, anonimamente intervenuto all’inaugurazione di un’importante mostra, s’interrogherà sul vero significato di quanto uscito dalla bocca di un neo cultore dell’estetica: “La rappresentazione artistica costituisce senza alcun dubbio uno dei momenti privilegiati dal punto di vista culturale in grado di fare riflettere sui diversi aspetti dell’essere nel linguaggio pittorico o scultoreo capace di evocare i simboli della cultura universale”. L’anonimo uomo di lettere, dopo decenni, sul suo taccuino continuerà a ripetersi: “ma che cacchio voleva dire?”.
Tra quegli appunti rimarrà traccia, forse, di talune “battaglie” in difesa dell’Arte, rivelatesi efficaci quanto quelle di Don Chisciotte; battaglie disinnescate dalla volontà che tutto resti immobile, al punto di partenza, come se si fosse dialogato andando su e giù per le “scale” di Escher!
L’immaginazione, con ancor maggiore facilità, mi porta a formulare ipotesi sulle opere d’arte che produrranno i viaggiatori del settore, definitivamente votati all’uso degli strumenti digitali. Vedo uscire dalle macchine da stampa enormi fogli patinati con la rappresentazione di attraenti e appetitose fontane “quattro gusti”, irrorate da svettanti zampilli e abbondanti cascate di policrome bibite industriali.
Si è indotti a sperare … che tutto ciò rimanga soltanto nel mio sfrenato immaginario.
Filodiretto Monreale chiude e quindi non posso uscire così, facendo finta di niente e senza ringraziare. Mi sento molto vicino a Massimo Gullo, l’encomiabile direttore, al quale ho già esternato tutto il mio apprezzamento per il lavoro fin qui svolto e anche le ragioni del mio dispiacere. Si spegne un canale che ho sempre ritenuto essenziale per l’equilibrio dell’informazione cittadina e attraverso il quale mi è stato possibile, nel periodo più recente, esprimere opinioni e stimolare l’attenzione sui temi dell’arte. Grazie, grazie ancora!