Domenica 30 ottobre le parrocchie di Monreale invitano la cittadinanza e i fedeli a partecipare alla manifestazione “Il grido velato”.
Alle ore 17:00 è previsto un incontro presso la chiesa di San Castrense, sarà relatrice la dottoressa iraniana Minoo Mirshahvalad, ricercatrice presso l’Università Autonoma di Barcellona che abbiamo intervistato per Filodiretto.
Dottoressa, si parla tanto di solidarietà verso le donne iraniane. Lei crede che le manifestazioni, i flash mob nelle piazze, i cortei possano essere d’ausilio alla causa delle donne?
Si e no. È sicuramente necessario e utile smascherare e condannare l’abuso del potere in qualsiasi parte del mondo e sotto qualsiasi forma avvenga, spronare i cittadini a riflettere sui diritti moderni della donna e sensibilizzare le persone sulla violenza di genere. Tuttavia non dobbiamo illuderci che lo Stato iraniano cambierà atteggiamento per allinearsi all’opinione pubblica mondiale. Non l’ha fatto per 40 anni e non lo farà nemmeno oggi. Lo strumento economico avrebbe potuto funzionare se il commercio internazionale fosse stato cristallino, però ora varie forme di embargo contro lo Stato iraniano hanno solamente ingrossato il mercato nero, alimentato la mafia del commercio e arricchito il ceto dirigente iraniano.
Lei come donna ha mai vissuto quegli abusi che la parte estremista dell’Islam ritiene invece “normalità” per le donne?
La pressione più lampante dell’estremismo islamico è la sua ginofobia. La mia memoria è piena delle sopraffazioni perpetrate a nome dell’islam che mirano a domare la donna per “salvare” la società.
L’abuso più grande che ho subito sulla mia pelle è stato l’obbligo di velo, questa imposizione comporta la strumentalizzazione del corpo della donna contro la sua volontà ai fini della propaganda politica. Già il sistema scolastico iraniano a noi studentesse insegnava che se ci capitava di essere molestate per strada era colpa nostra, ci colpevolizzavano, addossando la responsabilità alla donna. Questa mentalità era già presente nella famiglia e per me era ancora più dolorosa di quanto avvenisse nella scuola, quindi l’abuso del corpo della donna viene prima razionalizzato e coltivato nella famiglia e poi confermato e alimentato nella società. In questo modo si normalizza l’abuso.
Il sacrificio delle vite di giovani donne secondo lei verrà recepito in un prossimo futuro in Iran o i tempi per un cambiamento sono ancora lontani?
Il cambiamento è già visibile in ciò che sta avvenendo a prescindere dal risultato che porta. Potrei annoverare vari esempi di come la società iraniana è cambiata in termini di relazioni di genere sin dalla rivoluzione del ’79 e fino ai nostri giorni. La più lampante differenza è tra quello che sta avvenendo oggi rispetto ai precedenti movimenti delle donne. Oggi le donne sono accompagnate dagli uomini. Invece, se guardate le foto dell’8 marzo del 1979, vedete le donne scese per strada per protestare contro l’obbligo del velo che stava per essere imposto, ma senza uomini a loro fianco (vedi foto).
Si potrebbe pensare che gli uomini in questo mese siano scesi per strada per ragioni economiche, e che il caso di Masha Amini sia stato solo un catalizzatore della rivolta. Risponderei facendo riferimento alla lingua persiana per sottolineare il cambiamento che è avvenuto in Iran. Fino agli anni ’80 la donna veniva chiamata zaifa (debole) o awra (vergogna). Il cambiamento del 2022 è quindi davvero rivoluzionario. Gli uomini che oggi sono per strada a gridare il nome di Masha, anche se fossero stati spinti alla protesta dal carovita, qualche decade prima si sarebbero vergognati di appoggiare le donne.
Il secondo cambiamento vistoso riguarda l’età delle protagoniste. Eravamo abituati a cercare i movimenti religiosi rivoluzionari tra le fila degli studenti universitari. Ora sono le studentesse delle scuole medie e dei licei a stare in prima linea nella lotta. Si tratta quindi di un cambiamento significativo.
Il terzo cambiamento importante consiste nelle richieste dei partecipanti alle proteste che si riverberano tra gli slogan. Non si tratta più di una richiesta di cambiamento di leggi o di migliorare l’economia, ma oggi nelle città iraniane si sentono insulti al capo religioso e si chiede il fine della teocrazia. Quindi ora si lotta per un cambiamento molto più radicale rispetto alle proteste precedenti. Ci sono tanti altri elementi di cambiamento di cui si potrebbe parlare.
Cosa proporrebbe per sensibilizzare l’opinione pubblica e soprattutto i capi di governo?
Bisogna dare visibilità a questa causa. L’intellettualismo interloquisce, ahimè, con una platea molto limitata. Il lavoro intellettuale rimane nel cerchio degli studiosi. Per avere l’impatto sociale significativo bisogna uscire dalle aule universitarie. Nella fattispecie, bisogna per esempio andare davanti al consolato o l’ambasciata iraniani e fare presidi e pressioni lì. Dubito fortemente che i governi e gli istituti siano interessati a sporcarsi le mani. Io neppure in Italia ho tutta la libertà che desidero avere per esprimermi perché gli istituti danno la priorità ad altre esigenze che non sono sempre quelle dei diritti civili e l’individuo naturalmente dipende dagli istituti per potere vivere.
Durante il convegno di domenica, qui a Monreale, quale argomento tratterà?
Parlerò delle radici culturali della violenza contro la donna in Iran. Analizzerò i motivi per cui il velo da semplice indumento è diventato arma politica, quindi spiegherò perché alcuni stati come quella afgano e quello iraniano, gli unici al mondo che attualmente impongono il velo alla donna, sono così bisognosi del velo della donna per sopravvivere.
Ringraziamo la Dottoressa Minoo Mirshahvalad per la sua disponibilità in attesa di ascoltare il suo intervento il pomeriggio del 30 Ottobre. La manifestazione si concluderà con un corteo silenzioso fino alla Cattedrale dove alle 18 si terrà la celebrazione Eucaristica presieduta dall’Arcivescovo di Monreale, Monsignor Gualtiero Isacchi.
La manifestazione è stata voluta con forza dai parroci monrealesi per sensibilizzare la cittadinanza ad un sentire comunitario che renda tutti uniti nella difficoltà senza che nessun vessillo o etichetta possa essere capace di dividere gli uomini dinanzi a orrori quali guerra ed eccidi.
Don Nicola Gaglio, durante la celebrazione del 18 Ottobre, in cattedrale, aveva suggerito ai fedeli di non indietreggiare mai dinanzi ai soprusi. Per un cristiano è doveroso esporsi contro ogni forma di male non rimanendo nell’ignavia.