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Salta montone, gioco del fazzoletto, della campana, della corda, quando per giocare bastava avere i compagni

I ragazzi e le ragazze di oggi non hanno completamente l’idea di come ci si divertiva ai miei tempi, i giochi antichi sono un patrimonio culturale

MONREALE – Mi capita spesso di passare dal “Bagghiu”, Piazza Guglielmo II per intenderci, e non c’è una volta che i miei passi non puntino dritto all’antivilla con lo sguardo rivolto verso l’ingresso della villa comunale nella speranza di vederla aperta.

Si dice che ci sono lavori in corso, in seguito ad una frana che tempo fa si è formata e che ha impedito la fruibilità della villa stessa. Ma il tempo passa e tutto sembra fermo.  

Superato l’ufficio postale, mi ritrovo sulla destra a pochi metri dalla bella fontana dell’antivilla che per fortuna esiste ancora, dove tutti i ragazzi, che un tempo frequentavano la scuola media e il ginnasio del Guglielmo, si dissetavano dopo le scatenate corse alla fine delle lezioni. 

Ricordo che mia mamma teneva in borsa un bicchiere particolare che all’occorrenza si poteva allungare o accorciare e lo usava per farmi bere quando passavamo dalla fontana: una fermata obbligatoria per tutti i bambini che volevano dissetarsi dopo essersi stancati a giocare fra le aiuole.

Mi guardo in giro, nell’antivilla dove prima c’era una bella vasca adesso ci sono 4 panchine dove le persone si seggono per rilassarsi e chiacchierare fra di loro. 

 

 

 

 

 

Mi accorgo che manca lo scivolo che faceva parte di un piccolo parco giochi dove si divertivano i bimbi, anche l’altalena è rotta perché manca il sedile. Una signora con una bimba piccola che cammina a stento mi guarda chiedendomi dove sia finito il parco giochi, altro non rimane che un attrezzo che permette di arrampicarsi solo ai più grandi e forse anche una piccola altalena di legno.

Il cancello chiuso della villa comunale

Ma che senso ha tenere un parco giochi senza un custode che impedisca questo scempio?!

Il Sindaco ha realizzato per i bimbi un parco giochi all’interno della scuola elementare P. Novelli che si aprirà nei primi di gennaio. Ma io penso che l’ambiente ideale rimane quello dell’antivilla  che, credo, debba essere riattivato perché non si può rinunziare a quell’esteso spazio tra un’aiuola e l’altra e a quel verde che fa respirare a pieni polmoni.

Naturalmente bisogna prima pensare a mettere dei custodi per evitare che gli sciacalli distruggano di nuovo tutto. Chissà quanti volontari con il reddito di cittadinanza svolgerebbero volentieri questo ruolo. 

Continuo a camminare e mi avvicino all’ingresso della villa dove il cancello è chiuso; allora ne afferro le sbarre come un recluso che vorrebbe fuggire da una prigione, ma è al contrario, io non voglio evadere anzi vorrei entrare. Attraverso le sbarre vedo soltanto la parte iniziale del belvedere dove c’è una macchina con operai che ci gironzolano attorno, forse ci sono dei lavori in corso.  

Mentre guardo mi ritornano in mente tanti ricordi di quando frequentavo la villa da bambina, rivedendoli chiaramente come in un film.

Il belvedere, specialmente la domenica, era molto frequentato da mamme, che vi portavano i propri figli, dove potevano sfogare la loro vivacità portandosi appresso anche gli attrezzi da gioco, e poi dove c’era spazio si giocava, per me era il giorno dell’incontro con le mie amiche Paola, Maria Rosa, Melina che ricordo come fosse ora. 

Ci divertivamo con pochi attrezzi da gioco che adesso non si usano più, i ragazzi e le ragazze di oggi non hanno completamente l’idea di come ci si divertiva ai miei tempi.  

I ragazzi e le ragazze di oggi non hanno completamente l’idea di come ci si divertiva ai miei tempi

Uno dei giochi più diffusi era quello delle 5 nocciole, ma non avendo le nocciole usavamo cinque piccole pietre che sceglievamo tra la ghiaia che formava il pavimento della villa.

Ragazzini che giocano con le cinque pietre

Perché allora non era asfaltata e nemmeno c’erano mattoni, ma era coperta da uno strato di ghiaia che era buona solo per farci sbucciare le ginocchia quando ci rincorrevamo e cadevamo rovinosamente a terra. Allora non si usavano i jeans ma semplici gonnelline. Ma ritornando al gioco, vi spiego in cosa consisteva, forse qualcuno della mia stessa età si ricorderà perché magari ci avrà pure giocato. 

Si mettono a terra cinque pietre, il primo giocatore ne sceglie una e la tira in aria, con la stessa mano cerca di prendere una delle pietre rimaste a terra e di riprendere quella lanciata in aria prima che ricada per terra. 

Se ci riesce mette da parte la prima pietra, lancia in aria la seconda e cerca di raccoglierne una terza  prima di riprendere quella che ha lanciato. 

Va avanti così finché sbaglia, (lasciando cadere la pietra che ha lanciato in aria o non riuscendo a raccattare una delle pietre che stanno a terra) oppure finché ha raccattato vittoriosamente da terra tutte le pietre.

Per completare il gioco, deve poi riunire a terra tutte e quattro le pietre, lanciare in alto la quinta e riunire nella mano con la solita tecnica tutte e cinque insieme, contemporaneamente. 

Se ci riesce, guadagna un punto e passa il turno al giocatore successivo, altrimenti viene eliminato. A questo gioco si può giocare con tante varianti.

I cerchietti

Nell’intervallo tra un gioco e l’altro ci andavamo a sedere nei tavolini sotto i ficus magnolia per riposarci e ascoltare la musica del jukebox. A volte ci soffermavamo a guardare i maschi che giocavano in gruppo col cerchio. I giocatori si allineavano e correvano verso la linea del traguardo (andata e ritorno, se il percorso era breve). Ognuno doveva fare rotolare e guidare il proprio cerchio col bastoncino. Se un cerchio cadeva a terra, il suo guidatore andava fuori gioco. Vinceva chi passava il traguardo per primo. In queste occasioni si formava anche un pubblico che tifava per questo o per quello. Era molto divertente.

Forse il primo gioco col cerchio venne inventato, in epoca lontana, dai bambini che giocavano davanti alla bottega di un bottaio. Lì potrebbero aver rubato uno di quei cerchi di ferro che servivano ai bottai per tenere ferme le doghe e fabbricare le botti, accorgendosi subito che la corsa del cerchio poteva essere controllata mediante un bastoncino. 

Ma non giocavano solo con il cerchio, a volte usavano un fazzoletto per gareggiare. Al centro c’era un ragazzo/a che faceva penzolare un fazzoletto, mentre i due contendenti dai lati opposti correvano per afferrare quel fazzoletto prima dell’altro.

 

 

Il gioco della cavallina

Altre volte i maschietti usavano giocare a “salta montone o cavallina”, o solo in due alla volta o in gruppo più folto e allora il divertimento era maggiore.

Chi faceva il montone (o il cavallino) stava accovacciato con le mani sulle ginocchia, incurvando la schiena, per permettere al compagno di appoggiargli le mani sulle spalle e poterlo scavalcare con un balzo. 

È un gioco proprio di una volta, di quando non servivano accessori per divertirsi, ma solo tanti e tanti compagni per giocare.

Una volta non servivano accessori per divertirsi, ma solo tanti compagni per giocare

Io mi portavo i cerchietti da casa dopo essermi allenata con mia madre per poi giocare in villa con le amichette, ma ero una frana con questo gioco. Si usavano due cerchietti e quattro bacchette, due per ogni giocatore. Con le bacchette infilate dentro il cerchio lo si lanciava all’altro giocatore che contemporaneamente tirava il suo e l’abilità consisteva nel riuscire a prenderlo con le bacchette da ambo le parti. 

Ricordo che una volta, di domenica, mentre mi allenavo, colpii una lampadina che serviva la sera per illuminare la stanza, purtroppo in quell’epoca non tenevamo in casa rifornimenti come oggi e restammo al buio fino all’indomani, quando l’abbiamo potuta sostituire. Come potete immaginare non usai più i cerchietti in casa.

Passando ad un altro ricordo non posso fare a meno di raccontarvelo.

Una volta, mentre giocavamo a nascondino, mi venne l’dea di nascondermi dietro una colonna che si trova in una nicchia che fa angolo con la parete che un tempo era del bar Salamone, da dove non riuscii più ad uscire. Mi cercavano inutilmente perché ero ben nascosta. Mi vennero a liberare il custode, il sig. Paolo Badagliacca, e i carabinieri a cui si era rivolta la mia mamma spaventatissima perché non riuscivano a trovarmi più.

In quell’epoca, parlo degli anni ’50/’60, i carabinieri facevano la ronda in villa, percorrendo i viali e  controllando l’ambiente. Non è come ora che camminano in macchina come fanno anche i vigili urbani. 

Non vi racconto cosa successe dopo che mi hanno trovata, ma sappiate che per una settimana non sono riuscita più a sedermi.  

Oggi in ogni angolo di via vedo “picciutteddi assittati ‘nne scaluna unni prima sciusciavanu ne fiurini ri calciaturi”, col cellulare in mano e la testa china sul video, tutti per i fatti propri intenti a giocare su applicazioni digitali.  

Mi viene una grande tristezza a guardarli e mi confermo dell’idea che giocare in gruppo e con i giochi di un tempo ci aiutava tanto a crescere e a formarci anche il carattere. Lo stare insieme e comunicare con il gioco ci rendeva felici e completi. Oggi invece c’è molta solitudine. Ma che senso ha!?

Penso che è necessario ricominciare a fare giocare i ragazzi e i bimbi con i giochi di una volta che  sono stati sostituiti dal cellulare, negativo per lo sviluppo del bambino.

Lo stare insieme e comunicare con il gioco ci rendeva felici e completi. Oggi invece c’è molta solitudine

La mancanza di spazi sicuri, di aria pulita e l’abitudine al cellulare distruggono lo spirito e la spontaneità del gioco e della cultura infantile.

Anche i giochi antichi sono un patrimonio culturale e dovrebbero essere gli adulti a insegnarli, ma anche loro sono distratti da facebook, da instagram e da altre diavolerie, non hanno tempo per dedicarsi ai piccoli, addirittura per farli stare buoni gli mettono in mano il cellulare.

Gli adulti di oggi non conoscono più tutti i giochi di una volta, ma ci sono i nonni che potrebbero svolgere il ruolo di informatori dei giochi del passato.

Prima i piccoli guardavano i fratellini più grandi giocare nelle strade dove non c’erano macchine e a loro non restava che imitare quello che vedevano fare.

Per concludere, io penso che il gioco sia soprattutto un importante strumento di socializzazione che insegna a vivere in gruppo con le sue regole e a sapere vincere e perdere, senza tralasciare l’importanza dello sviluppo dell’uso della fantasia.

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