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Monreale, la ricorrenza del 2 novembre

Fino agli anni ’50, per la commemorazione dei defunti, era ancora viva la credenza che fossero le anime dei parenti morti a portare i doni ai bambini

MONREALE – Fino agli anni ’50, per la ricorrenza dei 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, era ancora viva la credenza, trasmessa dai genitori a figli, secondo la quale fossero le anime dei parenti morti a portare loro i doni. Oggi non esiste più alcun bambino che creda a questa popolare leggenda che racconta che di notte i morti vengono a portare i doni e li nascondono nelle parti più impensabili della casa.

Si conserva tuttavia ancora la tradizione di comprare i doni ai bambini unitamente a cestini pieni di frutta martorana, mustazzola, tetù e il pupo di zucchero, che raffigura di solito un paladino o una ballerina. 

I mustazzola

Anch’io come tutti i bambini di quell’epoca ho vissuto questa tradizione. 

Mia madre che era napoletana si adattava passivamente alle tradizioni popolari siciliane ma cercava lo stesso di farmi contenta e, portandomi in giro per i negozi, dalle mie espressioni cercava di intuire cosa io avrei preferito che i morti mi portassero il due novembre. 

Mi ricordo che nella piazzetta San Cristoforo c’era una bottega che noi chiamavamo “aranciata” che vendeva un po’ di tutto. Era come un market di oggi e durante questa ricorrenza esponeva nel suo negozio tanti giocattoli. Io nella mia ingenuità pensavo che i morti li andassero a prendere lì, dato che li vedevo esposti. E allora mi beavo a guardare, e la mamma dalle mie espressioni capiva le mie preferenze.  

Mi ricordo particolarmente di un anno vicino alla ricorrenza dei morti in cui mi ero innamorata di una bambola vestita alla pescatora cioè con il pantalone blu a metà gamba. La camicina a scacchi rossa e bianca, un cappellino di paglia e il viso di porcellana. Sino all’ultimo lei cercò di mercanteggiare sul prezzo ma era molto cara in quell’epoca e non c’erano tante possibilità nella mia famiglia. Il denaro si spendeva solo per il necessario, ma non la pensava così mio nonno per me sempre disponibile, che mi coccolava.

Ma ricordo soprattutto quel giorno dei morti perché fu l’ultimo che il mio adorato nonno visse con noi.  

Lui aveva la sua stanza, dove stava sempre in un letto perché non camminava più. Non mancava la scrivania dove teneva i suoi cimeli che aveva vinto alle olimpiadi di tiro a segno, accanto una poltroncina con la seduta in pelle e 4 sedie con la seduta rotonda “Finocchietto”.

Le sedie in finocchietto

Alla parete una foto del fratello Nicola emigrato in America. La stanza aveva due balconi arredati con tende lavorate ad uncinetto che mia madre aveva portato da Napoli come corredo, uno dava sul Pozzillo e uno sulla via Veneziano che in occasione delle processioni aprivamo e lui dal letto gioiva vedendo passare il Crocifisso portato sulla vara trasportata dai fratelli. 

Ricordo pure un lampadario con tre bocce di vetro che quando veniva acceso illuminava a festa la stanza. Non mancava il radiogrammofono dove come soprammobile teneva due porta fotografie, una con la sua foto di quando era sergente durante la guerra ‘15/’18 e l’altra con la foto di mia nonna morta in giovane età.  

Mio nonno Vevè

La mattina del 2 novembre, dopo avere trascorso una nottata in dormiveglia perché non riuscivo a dormire col pensiero dei morti che sarebbero venuti durante la notte a portare i doni, mi alzai per andare subito nella stanza del nonno, perché a detta di lui i morti li avevano nascosti proprio nella sua stanza.

Secondo la tradizione noi bambini di allora dovevamo cercare in tutta la casa ma nel mio caso il nonno mi assicurò che i doni stavano lì, nella sua stanza, perché la mia nonna defunta, che era la sua amata moglie, era andata a trovarlo nel sonno, dicendogli pure dove li aveva  nascosti. Così per giocare con me e farmeli trovare si armò di arance, facendole rotolare ad uno ad uno nei posti dove lui sapeva che erano nascosti. 

La prima arancia arrivò sotto la scrivania dove c’era un cestino pieno di frutti di martorana, mustazzoli e tetù, i biscotti tipici di questo periodo. La seconda dietro la tenda del balcone dove era nascosta la pupa di zucchero, una ballerina tutta colorata. La terza arrivò tra la scrivania e la parete, me lo ricordo come ora, dove era nascosta una scatola rettangolare che presi tutta emozionata, non potevo mai immaginare cosa ci potesse essere racchiuso. La aprii e con mia grande sorpresa vi trovai la bambolina di cui mi ero tanto innamorata. La mia esultanza rese felice il nonno: “vedi la nonna stanotte cosa ti ha portato!?”, disse indicandomi la foto della nonna sul radiogrammofono. Come era bella mia nonna in quella foto col suo vestito elegante! Come l’avrei voluta vedere per poterla abbracciare e ringraziarla come se fosse viva. Non l’avevo conosciuta ma l’amavo tanto così come amavo il mio unico nonno che avevo e che mi coccolava. Non l’ho mai dimenticato. 

Mia nonna Provvidenza

“Nonno, voglio vederla anch’io la nonna quando ti viene a trovare” gli dissi. E lui mi rispose che lei mi vedeva e mi proteggeva da un altro mondo dove era felice e che per dimostrarle il mio amore e la mia gratitudine dovevo andare a trovarla al cimitero dove era sepolta, portandole i fiori per ringraziarla dei doni che mi aveva portato. Così sarebbe stata contenta. 

E così nel pomeriggio con la mamma ci recammo a trovarla al cimitero per portarle i fiori. 

Ancora oggi mi reco ogni anno per la ricorrenza dei defunti a trovare i miei cari parenti che non ci sono più.  

Nel nostro secolo, almeno fino alla mia generazione, la tradizione del rispetto dei defunti è stata così elevata fino a farli amare anche dai bambini con i presunti giocattoli che i morti avrebbero portato loro nel giorno del 2 novembre. 

Oggi le cose sono cambiate e i doni non li portano più i defunti come nella tradizione, ma Babbo Natale per metterli sotto l’albero che non ha nulla di sacro come l’amore di chi da lassù continua a volerci bene, dimostrandolo con i giocattolini donati ai loro nipotini. 

Forse era solo una dolce illusione, ma certamente qualcosa di meraviglioso che ci legava per l’eternità.

La frutta martorana

 

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