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I “ciaramiddari”, il gioco della “ballottola”, come festeggiavano i nostri nonni il Natale

Le feste natalizie di quando ero fanciulla le ho vissute con il suono delle “ciaramedde” che riempivano le strade di gioia nell’attesa della nascita del Bambino Gesù

Momenti meravigliosi e non ripetibili quelli che ho vissuto nella mia infanzia durante le festività natalizie. 

Mi capita spesso in questo periodo di fare un paragone tra le festività di allora, parlo degli anni ’50/‘60, e quelle di oggi.

Nel mio cuore c’è tanta tristezza per le notizie e le immagini dolorose causate dalle guerre che affliggono il mondo e in particolare quella tra la Russia e l’Ucraina senza prospettiva di pace, che giornalmente seguo nei telegiornali alla tv. E come se non bastasse ecco a rattristarci le storie di impiccagioni e delle torture di giovani che protestano contro un regime dittatoriale in Iran, che addirittura impone alle donne di portare il velo, come se vivessimo nel Medio Evo. 

Mi preoccupa molto anche la situazione economica del nostro Paese che si impoverisce sempre di più a causa degli aumenti della luce, del gas e dei generi alimentari indispensabili per sopravvivere. Tutto ciò ci fa vivere in ansia per il futuro incerto che si prospetta. 

Ah quanto era bello quel Natale sereno e gioioso, che ricordo nei minimi particolari della mia fanciullezza! 

Insomma, per farla breve, quest’anno, dal mio punto di vista, queste feste, cui stiamo andando incontro, per molta gente non sono piene di calore, serenità e gioia come dovrebbe essere.

In quell’epoca non tutti avevamo la tv e la vita che si viveva scorreva serenamente e ci preparavamo alle feste fin dall’Immacolata. Partecipavamo alla novena e dopo andavamo dietro la processione che ricordo era anticipata dagli zampognari. 

Le feste natalizie di quando ero fanciulla le ho vissute con il suono delle “ciaramedde” che  riempivano le strade di gioia nell’attesa della nascita del Bambino Gesù.  

Nella salita Sant’Antonino, dietro la mia vecchia casa, c’era un’edicola votiva dove, ogni anno, per Natale, la comunità del luogo si occupava di decorare la cappelletta con intrecci di arance e mandarini, mentre il “ciarameddaru”, ogni sera, con un compagno veniva a suonare la “ciaramedda” e a cantare la novena. 

Questo succedeva anche in altre zone di Monreale come alla fontana dei “cannola” in Via Miceli, o in quella di via Veneziano al Pozzillo. Ovunque c’erano edicole votive, il quartiere si animava partecipando attivamente non solo alla preparazione della cappella ma anche all’ingaggio del “ciaramiddaru”. 

Fino agli anni ‘60 i “ciramiddari” per lo più provenivano da ambienti agricoli, non guadagnavano molto e, grazie alla loro arte, arrotondavano in questo modo le entrate. 

Quest’arte veniva trasmessa di generazione in generazione spesso nell’ambito della stessa famiglia. 

Erano veramente abili a suonare uno strumento così particolare, che consiste in una sorta di cornamusa a due canne, una delle quali è congiunta all’otre per l’aria mentre l’altra serve a modulare il suono, “canta e trummuni”.

Una cosa che non sapevo era che alcuni pezzi della “ciaramedda” li costruivano personalmente, altri li compravano da un noto e bravo “mastro d’ascia”, il signor Melone, che ricordiamo per la sua bravura nella bottega di via Veneziano. 

Non sapevo che il signor Melone si adoperava anche in questo lavoro!

Sempre durante queste feste, mio nonno mi portava in piazza al circolo dei “Combattenti e reduci”, dove era allestito il presepe. Per me era fantastico guardare tutto quel paesaggio attorno alla grotta della natività con la sua bella stella argentata, allestito ad arte con i pastorelli situati secondo la prospettiva, quelli lontani erano piccoli rispetto a quelli in primo piano, c’era anche il laghetto fatto con la carta argentata, con le montagne che sembravano vere, imbiancate con la farina bianca, e con tante lucine colorate che si accendevano e spegnevano. Lo ricordo come se fosse ora e mi emoziono perché lo associo a mio nonno che amavo tanto.

Ho tanta nostalgia di quel periodo. In particolar modo ricordo il giorno di San Silvestro. 

Il 31 dicembre oltre ad essere la fine dell’anno è anche San Silvestro, l’onomastico del mio indimenticato nonno.

Mi ricordo che a casa mia, quel giorno, venivano i miei zii e i miei cugini per trascorrere insieme l’ultimo giorno dell’anno e festeggiare l’onomastico del nonno che abitava nella nostra stessa casa, e c’era anche Pinè, una persona umile che veniva spesso a dare una mano nei lavori di casa, che mio nonno trattava non come un servitore ma come uno di famiglia, conoscendo la situazione difficile in cui lui viveva, senza nessun familiare a casa sua.    

Noi ragazzini avevamo già preparato i sacchetti con le noccioline che ci sarebbero servite per giocare.

Tutti i nipoti, compresa io che ero la più piccola, ci si riuniva in una stanza per giocare con le noccioline mentre i grandi preparavano il cenone di capodanno.

Essendo figlia unica, ero felice di giocare con i miei cugini anche se perdevo sempre, non essendo abile nel tirare la “baddottola”, la nocciola più grossa e pesante che serviva per colpire i mucchietti di noccioline disposti vicino ad una parete. Tutte le noccioline cadute andavano al vincitore. 

La mattina del 31, il nonno, che era anche un bravo cuoco, si adoperava per fare il dolce, il “biancomangiare”, che per me era il dolce più buono del mondo. Ci penso ancora e vado in estasi. 

Quell’odore di cannella mi inebriava, cari amici miei. Oggi ci penso e mi sembra che allora la sensazione era meravigliosa mentre ne aspiravo il profumo”.

Che meraviglia di dolce solo a guardarlo, non mi sembrava l’ora di mangiarlo. Ma si doveva aspettare la sera quando eravamo tutti riuniti.

Mio zio Nicola, che faceva il cuoco al sanatorio, oggi Ospedale Ingrassia, preparava gli spiedini, anche in quel momento stavo lì ad osservare, curiosa e desiderosa di apprendere come li faceva.

Come scoccava la mezzanotte, mio nonno con il suo fucile, che usava quando era campione di tiro a segno, sparava due colpi al cielo come augurio per l’anno nuovo. Per fare rumore si usavano quasi sempre le armi.

C’era anche un’altra usanza: tra la fine e l’inizio del nuovo anno si buttava dal balcone sulla strada tutta la roba vecchia conservata in casa.

Ritornando al discorso iniziale, finalmente arrivava il sospirato dolce e si brindava, concludendo la serata o continuando a giocare con le noccioline o a carte. 

Mentre si giocava, non si avvertiva il freddo di una casa vasta dai tetti altissimi grazie ad un grande braciere.

Mi ricordo che mia madre lo preparava di pomeriggio “‘nto scaccheri” della scala che era ventilato e la brace “sbampava” o si usava il “muscaloro”. Quando finivamo di giocare con le nocciole le buttavamo nella brace per farle tostare e le mangiavamo divertendoci e consolandoci magari per  avere perso al gioco.

L’ultimo anno me lo ricordo come ora, mentre mio nonno si accingeva a sparare, il grilletto del fucile per un suo errore lo colpì al pollice facendolo sanguinare. Per noi tutti fu come un cattivo segno, infatti da allora non sparò più perché si ammalò gravemente.

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