Ormai da poco più di una settimana il mondo si è trovato catapultato in un terribile incubo che ha lasciato attoniti e terrorizzati la maggior parte di noi. Una guerra. Dopo due anni di pandemia. Dopo un periodo nero che ha coinvolto innumerevoli aspetti della vita di tutti i paesi del mondo. Dopo emergenze sanitarie, economiche, lavorative, sociali.
Una nuova terribile emergenza che ha cancellato oltre 70 anni di pace in Europa. Sembra di ripercorrere immagini storiche già viste: bombardamenti, carri armati, raid aerei, città sventrate, armi ed eserciti all’attacco. E poi profughi e sfollati di guerra, persone che scappano dal proprio paese lasciando tutto per salvarsi la vita nell’ambito di una situazione ancora profondamente incerta ed in costante evoluzione.
Chi lascia l’Ucraina oggi sono prevalentemente donne, bambini e anziani: gli uomini tra i 18 e i 60 anni sono tenuti a rimanere a difendere il paese, per loro è prevista la coscrizione. Il flusso dei profughi si dirige prioritariamente verso i paesi confinanti con l’Ucraina come Polonia, Romania e Moldavia, verso cui ci si sposta utilizzando auto, treni o altri mezzi di fortuna.
In Italia al momento non si registrano flussi significativi in entrata che però potrebbero verificarsi nelle prossime settimane. La predisposizione di un piano di accoglienza nazionale dunque dovrà essere approntato per affrontare la situazione e dovrà, tra le altre cose, tenere conto delle decisioni che saranno assunte dall’Unione Europea circa l’attivazione di un meccanismo di redistribuzione tra i paesi membri per alleggerire quelli di primo arrivo come Polonia e Romania.
Sull’argomento così delicato e preoccupante abbiamo intervistato don Ferdinando Toia, direttore della Caritas Diocesana di Monreale, che specifica: “Si tratterebbe di stabilire delle quote in base alle quali ricollocare gli Ucraini tra i vari Stati appartenenti all’unione Europea, all’Italia spetterebbe l’accoglienza di circa il 13%. A breve sapremo se e quando questo meccanismo sarà attivato. Ad ogni modo la competenza sarà del Ministero dell’Interno che quasi certamente chiederà alle associazioni di sostenerlo in questo sforzo”.
I profughi ucraini non sono assimilabili a chi giunge nel nostro paese in maniera irregolare via mare o via terra. “Si trovano – spiega don Ferdinando – in una condizione più favorevole potendo attraversare le frontiere liberamente a differenza di chi invece si trova bloccato in paesi terzi e non è autorizzato a superare i confini, come ad esempio i siriani in Turchia che vorrebbero raggiungere i paesi europei”.
Gli ucraini, anche prima di questo conflitto, potevano fare ingresso nell’Unione Europea con il solo passaporto e dunque senza visto, per un periodo massimo di 90 giorni. E l’Italia è il paese dell’UE che accoglie il maggior numero di lavoratrici ucraine (se ne stimano circa 250 mila), che hanno purtroppo utilizzato questa opportunità di esenzione del visto per lavorare in nero, cadendo quindi in una condizione di diffusa irregolarità.
“L’impegno della Caritas Italiana nei confronti della popolazione ucraina riguarderà sia l’accoglienza dei profughi che giungeranno nel nostro paese sia gli aiuti economici da destinare alle Caritas dei paesi confinanti con l’Ucraina (attraverso conto corrente dedicato) che stanno gestendo la primissima emergenza umanitaria”.
“A questo proposito – continua don Toia – non sono al momento incoraggiate raccolte di beni di alcun tipo né di medicinali da inviare in loco in quanto non ci sono le condizioni logistiche né organizzative per stoccare e distribuire questi materiali”.
Non si conosce ancora dunque l’entità dello sforzo che verrà chiesto al nostro paese in termini di accoglienza ma pare che il Governo sia intenzionato ad utilizzare i sistemi Cas (Centri di accoglienza straordinaria) con un ampliamento previsto di 13.000 posti e Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) con un ampliamento di 3.000 posti per l’accoglienza. A tal fine molte Caritas diocesane sono già state contattate dalle prefetture per attivare le relative accoglienze.
“Sarà possibile accogliere nell’ambito del circuito istituzionale (ricevendo dal Governo i relativi fondi) oppure attivare accoglienze diocesane (a carico della diocesi) – continua don Ferdinando -. È bene raccordarsi sempre con le Prefetture e le Questure per gli adempimenti del caso. L’arrivo dei profughi sarà molto probabilmente una migrazione temporanea per cui è prematuro definire oggi i servizi aggiuntivi da garantire, oltre al vitto e all’alloggio. Quindi è bene valutare con attenzione se e quali servizi attivare nell’immediato (corsi di lingua italiana, tirocini formativi ecc…). Si pensa inoltre che molti chiederanno di poter vivere insieme a parenti ed amici che già si trovano e lavorano in Italia. In questo caso sarà utile capire se chi li ospiterà è in regola con il soggiorno in Italia per evitare che l’eventuale sostegno economico della diocesi incorra in problemi inerenti la normativa sull’immigrazione. Per risolvere questa problematica, Caritas Italiana intende rilanciare la necessità di una sanatoria collegata alla regolarizzazione del 2020”.
Un tema non secondario riguarda la condizione giuridica dei cittadini ucraini che entreranno in Italia e si fermeranno oltre i 90 giorni di permanenza consentita. Molto probabilmente gli verrà riconosciuto un permesso di soggiorno temporaneo europeo, così come previsto dalla direttiva 55/2011, rinnovabile fin quando la situazione in Ucraina non si normalizzerà.
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“Anche su questo aspetto il Governo italiano non si è ancora pronunciato ma certamente lo farà all’esito della riunione del consiglio dei ministri dell’Interno europei. Ad ogni modo la titolarità di un permesso di soggiorno temporaneo consentirà comunque ai beneficiari di poter godere dell’accoglienza presso quei centri istituzionali (Cas e Sai) che ordinariamente sono riservati ai richiedenti la protezione internazionale. Si dovrà verificare con le prefetture e i Comuni la tipologia di procedura e i servizi da erogare in considerazione della particolare condizione giuridica riconosciuta ai beneficiari”.
Ed inoltre, dovrà essere altamente attenzionata la situazione sanitaria: “Gli ucraini che entreranno in Italia dovranno essere sottoposti a tampone – conclude don Toia – e, nel caso in cui non siano vaccinati o non abbiano un vaccino riconosciuto nell’UE, affrontare un periodo di quarantena. Su questo aspetto è opportuno raccordarsi con le Aziende Sanitarie Locali. Non dimentichiamo che siamo ancora in pandemia e che l’Ucraina è uno dei paesi con il minor numero di persone vaccinate in Europa. A novembre 2021, solo 7 milioni e mezzo di persone in tutto il paese si era vaccinato con doppia dose, meno del 20% della popolazione.
Per quanto riguarda i minori non accompagnati si scoraggiano trasferimenti senza una previa verifica con le autorità competenti. Ad ogni modo la presenza di minori non accompagnati in Italia va sempre tempestivamente segnalata alla Prefettura, al Comune e al tribunale dei minori”.
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