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NATO, Unione Europea, ONU, ecco da quali fattori dipenderà la pace in Ucraina

Costruire la pace significa rinunciare agli armamenti e alla NATO, rafforzare l'ONU, comprendere le origini della questione ucraina

In questi giorni mi sono chiesto se scrivere o meno qualcosa, se valesse la pena gettare nel martellante dibattito qualcos’altro. Oggi mi sono deciso, non perché penso sia necessario, tanto perché penso sia obbligatorio essere partigiani, non essere indifferenti a tutto ciò che sta accadendo in Ucraina. 

Il mio pensiero non sarà privo di ideologia, soprattutto perché credo sia impossibile che un pensiero di questo tipo esista, perciò sarò partigiano, un partigiano della pace tra i popoli e le nazioni. La speranza di un mondo disarmato e che faccia della collaborazione la propria bandiera, è questa la base ideologica che oggi mi spinge a scrivere.

Per costruire la pace serve riaccendere la speranza, per questo, a parere dello scrivente, si dovrebbe cedere e non irrigidirsi.

La pace potrebbe arrivare se:

  • La NATO ritirasse le truppe dai confini orientali.
  • L’Europa non fornisse armi agli eserciti ucraini.
  • L’ONU aprisse un’inchiesta sui “presunti” crimini di battaglioni neonazisti.

Questo, se è vero che l’Occidente ha una superiorità culturale e politica, non può che arrivare dai suoi governi democratici, ai quali il proprio popolo si è rivolto in tutte le piazze delle capitali europee.

Ma andiamo con ordine: per costruire la pace serve comprendere la complessità della situazione che oggi ci troviamo ad affrontare.

In queste ultime ore i rappresentanti dell’unione europea hanno comunicato che sosterranno il popolo ucraino inviando armamenti bellici; a questa comunicazione ha fatto eco quella dei capi di stato dei paesi europei.

Sicuramente i capi di governo cercano la pace, ma quali sforzi stanno facendo per ottenerla? Armando un popolo per protrarre un conflitto per i prossimi dieci o vent’anni? Non è già durato abbastanza?

Facciamo però qualche passo indietro; se si vuole costruire la pace si deve necessariamente ricostruire la complessità di un conflitto che nasce molto prima dell’invasione russa dei territori ucraini, che condanno. 

Inizierò dicendo che la responsabilità di un conflitto non può essere banalizzata con frasi fatte, come quelle che mi è capitato di ascoltare e leggere in quest’ultimo periodo: “Putin è un pazzo”, “è un megalomane”, “è un moderno Hitler”. 

La banalizzazione della genesi di un conflitto rende impossibile poterne uscire, perché pone il confronto tra due posizioni irriducibili, bene contro male, giusto contro sbagliato, pazzo contro sano, occidente contro oriente. Ci sono quindi responsabilità condivise e solo il riconoscimento di questi errori del passato può portare con sé una speranza di un mondo di pace.

All’indomani dello scioglimento dell’Unione Sovietica si era creduto che fosse terminata la contrapposizione e il rischio di un conflitto apocalittico fosse per sempre finito. Si era sperato che da quell’avvenimento finalmente potesse nascere un mondo di pace. Purtroppo quello che il popolo, i cittadini europei e del mondo credevano, non era stato seguito da una politica di pace. 

Uno dei temi di cui si è sentito di sfuggita parlare, e che è anche uno dei motivi scatenanti della guerra, è l’allargamento della Nato (basti guardare delle mappe storiche per verificare la veridicità di questa affermazione). L’Alleanza Atlantica è nata nel 1949 con una funzione di “difesa” dalla potenza Sovietica. Allo scioglimento dell’URSS non è seguito però lo scioglimento della NATO, che ha continuato ad esistere e anzi ad ampliarsi. 

Naturalmente non mi permetto di dire che questa scelta non sia legittima, però permettetemi di dire che un’organizzazione militare per la difesa delle nazioni che ne fanno parte non è un processo di costruzione della pace. Allo scioglimento della NATO avrebbe potuto seguire un rafforzamento dell’ONU. Purtroppo ciò che è avvenuto è esattamente il contrario, la NATO ha iniziato ad essere un mezzo per la risoluzione delle controversie, e non pacificamente. L’Ucraina è da tempo al centro di una animosa discussione tra la Russia e l’Alleanza Atlantica, il fulcro di questa controversia è appunto l’adesione o meno dell’Ucraina al Patto Atlantico.

A cosa abbiamo assistito nelle settimane prima dell’inizio del conflitto? Un enorme spiegamento di uomini e mezzi intorno all’Ucraina, da un lato mezzi e uomini russi, dall’altro mezzi e uomini dei paesi NATO. Non sia mai che si smetta per un attimo di giocare a Risiko ai danni di una popolazione, oggi quella ucraina, non sia mai che si smetta di giocare a “chi lo ha più lungo”, non sia mai che quando si parla di volere la pace si ritirino gli eserciti, non sia mai che l’Occidente tanto civile lo faccia per primo.

Ma vediamo un altro fattore della complessità di questa situazione. Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi il territorio europeo è notevolmente cambiato. Singoli Stati con le loro singole economie hanno dato vita a un soggetto sovranazionale, l’Unione Europea. L’Europa e la sua moneta nell’arco di un ventennio sono enormemente cresciute, creando un soggetto internazionale importante. Questo avrebbe potuto significare una prosperità dei cittadini e una crescita della cultura della pace e dell’integrazione, purtroppo ciò a cui stiamo assistendo in queste ultime ore volge l’Europa da tutt’altra parte. La decisione delle ultime ore di fornire armamenti e quindi di partecipare alla guerra in atto distrugge irrimediabilmente l’utopia di pace che L’Unione Europea voleva rappresentare. Naturalmente per distendere la situazione, se non fosse già abbastanza tesa, la presidente dalla Commissione europea Von der Leyen dichiara di volere l’Ucraina nell’Unione Europea. Nulla in contrario, penso che sarebbe meraviglioso avere Kiev tra le capitali europee, ma devo anche dire che il tempismo delle dichiarazioni dei leader europei è entusiasmante.

Un’altra delle tematiche che si deve comprendere per costruire la pace riguarda la recente storia della Repubblica ucraina. Come oramai dovrebbe essere chiaro a tutti, il conflitto non nasce negli ultimi mesi ma, generalizzando, dal 2014, anno in cui nelle regioni di Crimea prima e poi nelle regioni di Donetsk e Lugansk la popolazione decide tramite referendum l’indipendenza dall’Ucraina (la Crimea aderisce alla Federazione russa, invece nelle due altre regioni nascono le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk). Facendo un passo indietro dobbiamo capire perché le regioni in questione hanno chiesto l’indipendenza. Mi si perdonerà la grande generalizzazione. La crisi economica degli anni ’80 che ha portato allo scioglimento dell’URSS, di cui l’Ucraina faceva parte, è stato il punto di partenza della nuova Repubblica di Ucraina. Allo scioglimento e alla crisi economica purtroppo non vi è stata una controparte illuminata, anzi quello che avvenne è stato lo sciacallaggio delle risorse del paese, uno dei paesi che possiede più risorse naturali in tutto il territorio europeo e che durante il periodo sovietico fu uno dei più importanti centri industriali. Una classe politica corrotta ha portato, all’indomani dello scioglimento dell’URSS, un paese già in grave crisi in una situazione ancora peggiore. La situazione politica nel 2014 sfocia nella cosiddetta rivoluzione arancione, con la cacciata dell’allora presidente in carica Janukovic (La Russia non ha mai riconosciuto il nuovo governo insediatosi dopo “la rivoluzione arancione”, chiamandola “colpo di stato”). Ma questa “rivoluzione” non è stato un processo non violento, tutt’altro, forti scontri si generarono in tutto il paese.

Qui arriviamo all’altra tematica importante della questione ucraina, che riguarda l’accusa di persecuzione etnica e la presenza di neonazisti nella rivoluzione e nello stato ucraino. I battaglioni “Ajdar”, “Pravij sektor” e “Azov” (questo battaglione viene inquadrato nel 2014 all’interno della Guardia nazionale ucraina) si sarebbero macchiati della morte di diverse centinaia di civili, come nel massacro di Odessa del 2 Maggio 2014. Questo dovrebbe essere condannato fortemente dall’Unione Europea, che dovrebbe fare appello all’Onu perché si apra una indagine che possa fare giustizia sulla questione.

La guerra che si sta in questi giorni svolgendo nel territorio europeo, che non è la prima, ricordiamo la guerra di Jugoslavia, rischia di non essere l’ultima se non ci si impone di costruire la pace. 

Costruire la pace significa rinunciare agli armamenti, rinunciare alla NATO, altrimenti faremo finta di volere la pace e, segretamente ma non troppo, staremo preparando la guerra.

L’Europa e i suoi popoli devono essere protagonisti di questo lento e lungo percorso, a cui non possiamo rinunciare. Se ci rifiutassimo di intraprendere questa strada di pace, ci potremmo ritrovare in un futuro di violenza. 

Le piazze che in questi giorni si sono riempite di cittadini meritano l’ascolto dai governi e dai governanti dei paesi europei, le loro richieste sono quelle di un mondo che rifiuta le guerre. Questa soluzione non può che nascere dai popoli europei, che hanno vissuto i due conflitti mondiali nel proprio territorio e che hanno elaborato una cultura che può opporsi alle soluzioni armate dei conflitti. 

Il popolo europeo per storia e cultura è il più propenso alla costruzione di una speranza per un mondo migliore ed è quello che deve assumersi la responsabilità di rinunciare agli armamenti bellici e alla Nato per intraprendere una nuova strada, la strada della pace tra i popoli.

1 Commento
  1. Toni Renda scrive

    Chiedo scusa per le molte semplificazioni. Spero che il concetto comunque si capisca.

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