Nella finzione del festival di Sanremo, tra trash, blasfemia, musica, canzoni e canzonette mi è arrivata l’emozione, il disagio, l’imbarazzo di chi davanti al pubblico parla del suo colore della pelle come fosse un problema sociale.
Siamo nel XXI sec. Abbiamo letto Primo Levi, abbiamo studiato la schiavitù nelle colonie, l’apartheid, siamo laureati e con un touch inviamo messaggi e attiviamo con la domotica comandi a distanza. Voliamo sopra Marte e viaggiamo a velocità supersoniche. Quanti secoli ancora dovranno trascorrere affinché i mali sociali legati alle disuguaglianze vengano superati?
Lorena Cesarini legge da un libro, piccola e tremante, tesa e tirata nella muscolatura del volto, maschera il dolore con dei sorrisi nervosi e prova a far arrivare le parole fissate nelle pagine fino a chi ancora continua a credere verità inconfutabile una concezione arcaica che fonda la superiorità o l’inferiorità di una persona sul colore della pelle.
Mi chiedo perché non si possa usare un metodo che differenzi l’umanità in fasce di stupidità dal più basso grado posto in cima, al più elevato di meschinità, di grettezza e in questa scala piramidale la base meriterebbe a mio parere di essere obbligata a percorsi psicologici, antropologici e sociologici.
Come e quanto la stupidità umana può fare male, può ferire e distruggere un cuore…Non sarebbe meglio guarire, accarezzare e baciare divenendo promotori di gioia e amore? I razzisti, gli omofobi, i maschilisti non sanno cosa si perdono nel negare l’uguaglianza tra le genti e affidano le loro azioni a un desiderio di distruzione che finisce per fare male anche a loro… Peccato!
Volevo aggiungere che chi discrimina è stato educato da una famiglia che velatamente o apertamente ha diviso il mondo in migliori e peggiori e posso garantirvi che se nel processo educativo i bambini venissero cresciuti nell’amore e nella relazione positiva con la diversità non crescerebbero razzisti, né uomini capaci di discriminazione. Meditiamoci su!