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Il bonus dei 600 € alle partite iva e le “legioni di imbecilli” che sputano odio sui social

Frasi diffamatorie a politici locali dopo un nostro articolo, ma ne risponderanno davanti ai giudici

Era il grande scrittore e premio Nobel Umberto Eco a dichiarare nel giugno del 2015 “i social network hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli”. Una verità mai purtroppo confutata, ma che anzi trova continuamente conferme. L’ennesima l’abbiamo avuta anche noi, leggendo i post che tanti “imbecilli” hanno scritto martedì scorso sulla pagina Facebook di questa testata come commento all’articolo relativo ai politici monrealesi, titolari di partite IVA che “non” hanno richiesto il bonus dei 600 € allo Stato.

Senza provare a leggere l’articolo, ne hanno “forse” travisato il significato del titolo (non ambiguo ma che ho volutamente aggiornato per eliminare qualsiasi dubbio), per indirizzare contro i tre politici in fotografia (l’on. Mario Caputo e i consiglieri comunali Piero Capizzi e Francesco La Barbera) una serie di epiteti offensivi che, con molta probabilità, saranno chiamati a spiegare davanti ad un giudice.

Eppure l’articolo, se solo fosse stato letto, sottolineava il senso di responsabilità e l’etica mostrata dai tre politici monrealesi che, pur se la legge gli riconosce il diritto al sussidio, non hanno ritenuto opportuno richiederlo. E lo ribadiamo a chiare lettere: l’on. Mario Caputo e i consiglieri comunali Piero Capizzi e Francesco La Barbera non hanno richiesto allo Stato il bonus dei 600 €, pur avendone diritto.

L’articolo in questione aveva avuto anche la presunzione di smorzare gli attacchi che con troppa facilità erano stati sferrati sui social contro la classe politica in genere, in seguito alla notizia, data pochi giorni prima dai mass media nazionali, che circa 2.000 amministratori comunali titolari di partita IVA avevano richiesto il sussidio statale dei 600 €.

Di fronte al tentativo di fare di tutta l’erba un fascio, avevo voluto spiegare, partendo da alcuni esempi di esponenti politici locali, come non fosse corretto equiparare il “reddito” proveniente dall’attività politica di un deputato nazionale o regionale con quello di un consigliere comunale (che a volte non riceve neanche 100 € mensili), e come anche tra questi ultimi, pur avendone sia il diritto che motivate ragioni, legate al drastico calo del fatturato professionale, vi era chi avesse valutato opportuno non richiedere il sussidio.

Eppure, con epiteti quali “ladri”, “indegni” o “merde” sono stati offesi e diffamati i soggetti in questione, travalicando certamente il diritto di parola sancito dall’articolo 21 della Costituzione. E di questo, con molta probabilità, gli autori dei post saranno chiamati a rispondere nelle opportune sedi.

Basta avere un dispositivo connesso a disposizione, un account sui social e una tastiera per sputare odio e oltraggiare chicchessia.

“Legioni di imbecilli – diceva Eco – che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”.

Anche noi, nella nostra piccola realtà, più di una volta rimaniamo attoniti dinanzi ad invettive, offese, analisi paradossali, critiche non supportate da argomentazioni, diffuse tramite post su Facebook con la stessa semplicità di bere un bicchiere d’acqua. E quando l’argomento riguarda la classe politica puntualmente si assiste a ingiurie vomitate senza alcun controllo.

Sono gli avvelenatori del web, imbecilli che hanno invaso i social, protagonisti della comunicazione contemporanea che costituiscono un pericolo per la collettività, perché alimentano odio, diffondono bufale, si abbandonano a fenomeni di violenza verbale.

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