Monreale, 29 maggio – Mamma mia che settimanaccia…!!! Provate voi a essere accusati di “furto” (pur se di due sole fotografie) e restare indifferenti! Non si dorme la notte, diventa il chiodo fisso, si rischia la depressione e s’ingrassa pure… per lo stress! E poi la frenetica ricerca delle prove a discolpa e la necessità di procurarsi un difensore. Una settimana in cui mi sono identificato nei protagonisti della famosa trasmissione televisiva…, momenti da non augurare a nessuno.
Per mia fortuna, messo al corrente dai media, l’avvocato Felice Casorati, laureato in Giurisprudenza a Padova nel 1963, ma ben noto ai più come protagonista tra i più importanti dell’arte italiana, ha deciso di contattarmi e di assumere la mia difesa. Anche perché, come mi ha subito comunicato, vuole approfittare dell’occasione per togliersi un sassolino dalla scarpa… per fatto personale, anzi, familiare. Ma procediamo per gradi.

Il capo di accusa. Domenica scorsa, subito dopo l’uscita della mia nota su questo quotidiano, un fotografo inca…volatissimo, riproponendo, sul proprio profilo Facebook, il “corpo del reato” e lo scatto originale, ha reclamato in questo modo: “Trovate le differenze… se ci sono. Complimenti all’ideatore e autore di questo fantastico esempio di padronanza nell’utilizzo di Photoshop. E complimenti anche e soprattutto all’autore del furto di fotografie, che ha invece dimostrato una grande padronanza nell’utilizzo della sequenza “tasto destro e salva con nome”. Dico… sia la “piramide” che l’assessore Ignazio Zuccaro sono ancora a Monreale e non penso abbiano intenzione di scappare. Bastava uscire di casa e fare due foto, ma il lupo perde il pelo ma non il vizio!”. Ho postato un commento, una “giustificazione circostanziata”, ma niente… nessun riscontro, neanche alla mia richiesta d’amicizia! … pazienza. Sono rimasto delusissimo, nonostante la gratificante introduzione. A confortarmi, fortunatamente, il tempestivo intervento del maestro Casorati, mio difensore pro tempore, che ha esordito nel modo seguente: “Ai fini della distinzione tra opera fotografica (protetta come oggetto di diritto di autore) e semplice fotografia (oggetto di diritto connesso) occorre condurre l’indagine circa la sussistenza o meno del carattere creativo. Nel campo delle fotografie che riproducono opere dell’arte figurativa e, segnatamente, opere architettoniche (in cui uno sforzo creativo venne già a suo tempo compiuto dall’autore dell’opera fotografata) difficilmente la fotografia consegue carattere creativo, in quanto la necessaria fedeltà nella rappresentazione oggettiva del soggetto riprodotto, caratteristica naturale di tale tipo di fotografia, ne costituisce anche l’altrettanto necessario limite. (Pretura Saluzzo, 13 ottobre 1993 Dir. autore 1994, 484). L’avvocato ha poi continuato: “Dato per scontato che la piramide di Monreale è un’opera d’arte, uno straordinario esempio di architettura contemporanea, resta soltanto la colpa, da parte del fotografo reclamante, di aver pubblicato in rete lo scatto, omettendo di segnalare il nome dell’autore, dell’architetto che, prima della ripresa fotografica, si era sottoposto al disumano sforzo creativo. L’insieme dei presupposti autorizza ad escludere che si tratti di foto da tutelare in quanto “opera d’arte…; una foto, quindi, il cui pregio artistico e commerciale è irrilevante, se non del tutto inesistente.”. Poi, l’avvocato, sussurrando all’orecchio, per non aggravare la condizione del reclamante, mi ha detto: “Ci sarebbe, inoltre, da accertare se il fotografo sia, o no, in possesso della prevista liberatoria, vergata di pugno dall’operaio pericolosamente al lavoro sulla scala, e se si è provveduto a dichiarare i diritti elargiti dall’azienda produttrice della scala, sicuramente riconoscente, per aver visto risanare i propri bilanci, grazie alla subliminale presenza del proprio prodotto sul set fotografico”. Il mio difensore, rivolto a me soltanto, ha poi continuato: “Venuta meno la sussistenza della tesi accusatoria, potremmo procedere, sporgendo querela, per l’uso impertinente del termine “furto”, in cui potrebbero ravvisarsi gli estremi della diffamazione o della calunnia”. Ma, indotto da quel minimo di capacità che mi ritrovo nell’attribuire alle cose il giusto spessore, ho fatto finta di non aver sentito, lasciando cadere nel vuoto l’impegnativa sollecitazione.
Il secondo capo d’accusa: “Spionaggio culturale e contrabbando di riproduzioni fotografiche di opere d’arte”. – Un acutissimo Sherlock Holmes, probabilmente messo a capo dei “servizi d’intelligence” della Galleria Civica “Giuseppe Sciortino”, con il chiaro intento di inguaiare qualche collega che gli sta antipatica o che appartiene all’opposta fazione, ha così commentato le affermazioni del fotografo reclamante: “L’archivista che di solito fornisce le foto sarà rimasta a corto”. Io, quindi, nel più assoluto rispetto del pensiero di Epitteto, “Ciò che tu eviteresti di sopportare per te, cerca di non imporlo (evitare che sia imposto) agli altri“, mi vedo costretto a chiarire. Le foto delle opere d’arte, che utilizzo a corredo dei miei articoli, sono quelle incluse nel catalogo della “Collezione Posabella” nel1986 (il primo), del quale ho curato la grafica, e quelle incluse nel terzo catalogo (anno 2000), del quale ho curato la grafica e la digitalizzazione delle fotografie, riprese dal noto fotografo concittadino Enzo Lo verso. Le due pubblicazioni, che abbinate si depositano agli atti come “reperto n. 1”, hanno ottenuto il gradimento e l’approvazione della donatrice, come si evince dal “reperto n. 2.
Nessun coinvolgimento della ipotizzata “Mata Hari”, quindi, tanto per rassicurare Sherlock Holmes, … tutta farina del mio sacco!
Ma, essendo stato ormai così coinvolto, ritengo necessario mettere tutto in chiaro! Se c’è qualcuno che ha usurpato la “paternità di fotografie”, va ricercato nel colophon del catalogo edito nel 2012, “reperto n. 3”, ove si legge “fotografia e grafica: Giuseppe Moschella”. Attribuzione assolutamente infondata, tranne che per pochissime foto di opere recepite dalla Galleria Civica dopo il 2000. Le immagini sono state acquisite, dal catalogo precedente, con l’impiego di uno scanner decisamente maldestro. Il “reperto n.4”
dimostra quanto asserito: a sinistra lo scatto originale (© Enzo Lo Verso) dell’opera di Elisa Maria Boglino e, a destra, la stessa opera riprodotta nel catalogo del 2012 (reperto n. 3) con l’illegittima attribuzione a G. Moschella. Oltre all’evidente diversità qualitativa, percepibile ad occhio nudo, la scienza e la tecnologia possono dimostrare che la seconda immagine è una riproduzione digitale della prima, già sottoposta al processo di stampa litografica e, quindi, preliminarmente “retinata”. Per tagliare, definitivamente, “la testa al toro”, si deposita agli atti il “reperto n. 5”
: a sinistra, lo scatto originale e, a destra, quello usurpato: lo sfondo e le ombre proiettate su di esso sono un’invenzione mia e di Photoshop. Nessuno può sostenere, quindi, – Signori della Corte – di avere fotografato, dal vero, lo stesso oggetto su quello sfondo e con le stesse luci, virtualmente generate dal software, su mia indicazione. Chi ha sostenuto di averlo fatto, ha mentito, spudoratamente!
Essendo ormai questa la sede più opportuna, segnalo, anche, che la stessa foto (a destra nel reperto “n. 3”), ad opera del sedicente autore dello scatto, è stata recentemente utilizzata negli spazi virtuali della “Casa della Cultura – Monreale (organizzazione governativa)”, per consumare il tentativo, vano e un tantino infantile, di anticipare, per vanificarli, i contenuti di questa rubrica. Perché, invece, non affidare alla pagina dell’organizzazione governativa il più congeniale compito di informare, con un minuzioso diario, sul progredire dei preparativi dell’attesissimo “FilmFestivalMonreale”; i cittadini monrealesi sono in ansia, mentre Venezia, Cannes e Berlino fremono nell’attesa di conoscere il quarto gemello!
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Il “Caso Casorati”. È a questo punto che il maestro Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963), nel suo consolidato ruolo di grande artista e indossando, questa volta, i panni dell’accusatore, interviene per fatto personale, anzi… familiare, e così esordisce: “Il citato catalogo del 2012 (reperto n. 3), con la didascalia “10, Foglie, olio su tela, cm 58×68” e il tomo edito nel 2010, imbroglione nel titolo e nei contenuti, (reperto n. 6), a pag. 104 con identica didascalia, riproducono un dipinto a soggetto naturalistico, a me erroneamente attribuito. Clamorosa ed imperdonabile pecca, – ha continuato – ancor più se è vero che la Civica Galleria monrealese è dotata di un capo dei servizi di intelligence! Un caso eclatante di privazione del diritto d’autore. Quella tela, Signori della Corte, è stata dipinta da mia moglie, Daphne Casorati, e ad essa vanno attribuiti i giusti meriti. Se, invece, qualcuno ha voluto insinuare, sappia il calunniatore che mai e poi mai un mio pennello ha sfiorato le tele della mia consorte. Ancor più ingiustificabile la svista, se si tiene conto che, nei precedenti due cataloghi, l’attribuzione era corretta. Per concludere, affermo che persino una delle capre ignoranti, tanto care al ferratissimo Vittorio Sgarbi, si sarebbe accorta che quel quadro con la mia pittura non può entrarci assolutamente nulla! Pretendo che sia posto rimedio e mi riservo di agire!”.

Affido alla nota biografica una più attenta narrazione del percorso artistico di Daphne Casorati. Io, scansato il rischio della restrizione, prima di congedarmi vi aspetto in fondo alla pagina.

Daphne Mabel Maugham Casorati, di nazionalità inglese, nasce nel 1897 a Londra, forse, o, più probabilmente, a Parigi nell’ambasciata britannica dove il padre, avvocato e diplomatico, presta servizio. Inizia a studiare pittura in Francia seguendo le lezioni dei Nabis all’Académie Ranson, dell’espressionista polacca Mela Mutter nel suo atelier parigino e del cubista André Lhote all’Académie Notre Dame des Champs. Nel 1914 espone alla Galerie Druet di Parigi e nel 1921 una sua opera è accettata al Salon d’Automne; l’anno successivo, ritornata a Londra, si diploma presso la prestigiosa Slade School of Art. Quattro anni dopo, sul limitare del 1925, arriva in Italia dove, a Torino, prosegue nello studio della pittura presso la scuola che Felice Casorati ha aperto in via Bernardino Galliari. Nel 1926 è presente all’Esposizione delle vedute di Torino organizzata presso le sale di Palazzo Bricherasio dalla Società di belle Arti Antonio Fontanesi; nel 1928 espone alla Promotrice torinese e partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia. L’anno seguente è a Milano dove espone con Casorati ed alcuni suoi allievi presso la Galleria Milano e la Galleria Pesaro. Successivamente, nel 1930, alla Galleria Valle di Genova e alla International Exhibition del Carnegie Institute di Pittsburgh. Gli anni seguenti, contrassegnati dal matrimonio con il suo maestro di pittura e dalla nascita del figlio Francesco, la vedono impegnata in numerose esposizioni pubbliche, alcune di prestigio internazionale. Le sue opere ricevono riconoscimenti dalla critica e dal pubblico di Pittsburgh (presente al Carnegie Institute sino al 1939), Roma (presente alle Quadriennali del 1935, 1939, 1943, 1948, 1959, 1965), Milano, Parigi, Genova, Venezia (presente alle Biennali dal 1928 al 1940, e a quelle del 1948 e del 1950). Nel 1941 molti suoi lavori vengono distrutti durante l’incendio che devasta il suo atelier in via Mazzini a Torino. Gli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta sono contrassegnati da numerosi appuntamenti che vedono la pittrice impegnata in numerose collettive (alla Permanente a Milano, alla grande mostra Arte moderna in Italia 1915-1935 allestita presso le sale di Palazzo Strozzi a Firenze, alle Quadriennali di Roma e Torino) e personali (gallerie La Bussola e Galatea a Torino, gallerie Spotorno e Gian Ferrari a Milano). Daphne Maugham si spegne a Torino nel 1982. (Fonte: sintesi dal sito Internet “Galleria dell’incisione”)
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Mi scuso, con i pochi lettori, per la tortuosità e le lungaggini nel raccontare. Nelle aule di giustizia, però, è necessario circostanziare. Ritengo utile, pertanto, trarre qualche breve conclusione. Gli embrioni della fotografia sono stati individuati, addirittura, in talune osservazioni di Aristotele. Nella Parigi di fine ’800, il fotografo Nadar (all’anagrafe Gaspard-Félix Tournachon), intuita la funzione che i mezzi tecnologici avrebbero svolto nello stimolare le arti ad spingersi oltre la “copiatura” , ispirò l’amico Jules Verne a scrivere il romanzo Cinque settimane in pallone e ospitò, nel suo studio, le opere di Monet, Manet, Sisley, Pissarro, Morisot, Degas, Cézanne e Renoir, per dare vita alla prima mostra degli impressionisti. Oggi, a Monreale, una macchina fotografica (o, meglio, il suo proprietario), inventata dall’uomo fondamentalmente per “copiare”, vorrebbe impedire all’uomo di fare la stessa cosa…, pur avendo riconosciuto, devo ammetterlo, che l’intervento posticcio sulla semplice materia prima “rubata”, essendo stato ben fatto, ha generato valore aggiunto.
Devo porgere il dovuto ringraziamento, al maestro Felice Casorati, per tutto quello che ha lasciato al mondo, implorandolo di scusarmi per l’inconsueta, riduttiva e cordialmente irriverente prestazione da consulente legale, alla quale oggi l’ho costretto. Credo di poter esser certo della reazione dei discendenti, che, conservando i “geni” della straordinaria coppia, non mi trascineranno in Pretura. Anticipo al grande Maestro che, alle due opere, un’incisione ed un carboncino, esposte presso la nostra Galleria Civica, correttamente attribuite, dedicherò, una delle prossime domeniche, tutto lo spazio dovuto.
Per quanto riguarda, infine, il fotomontaggio di oggi, confesso di aver sfoderato tutta la mia furbizia…, ho “rubato” il titolo di una trasmissione televisiva, che lo aveva, a sua volta, “rubato” a un film, del quale, io, ho anche “rubato” un fotogramma. Poiché nessun pretore, da quanto mi risulta, ha condotto in Pretura i responsabili, ho capito che potevo approfittarne in tutta tranquillità! Un modo per mettere i ferri dietro la porta, non rischiando che me li mettano ai polsi! Conto moltissimo, comunque, sull’ampia apertura intellettuale di Roberta Petrelluzzi, curatrice e conduttrice di “Un giorno in pretura”, la storica trasmissione di Rai 3, e sull’innata predisposizione all’humor di Turi Pandolfini, Peppino De Filippo e di Alberto Sordi (al quale ho addirittura trapiantato la mia testa) per sperare che, anche da parte loro, non siano adite le vie legali!
Infine, prima di salutare, dichiaro di concordare totalmente con chi, rivolgendosi palesemente a se stesso, ha trascritto l’antico proverbio “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”…, dando, così, l’avvio alla mia “SETTIMANA IN PRETURA”. Spero che la prossima sia altrettanto stimolante.
P.S. Chiunque, non fidandosi della bassa risoluzione, volesse visionare i “reperti” in versione originale, deve soltanto contattare la mia “cancelleria”.