L’appello al voto, rivolto agli elettori da vari ambienti della società, è caduto nel vuoto. La democrazia, di conseguenza, più che la casta, è stata la vera sconfitta delle elezioni svoltesi domenica 28 ottobre in Sicilia. Se gli astenuti intendevano, con il loro gesto, sferrare un duro colpo a quella classe politica che ci ha male rappresentati in questi anni, hanno invece contribuito, non rivolgendo il proprio voto verso nuove proposte, al radicamento di molte delle vecchie poltrone e dei tanti loro privilegi. Gli astenuti paradossalmente hanno votato, hanno preso una decisione. E hanno disposto che dovessero essere gli altri elettori, e quindi anche, e con maggior peso, i seguaci dei soliti politicanti, a scegliere anche per loro, con buona pace della democrazia rappresentativa. Domenica ha prevalso la chiara assenza di consapevolezza, per tantissimi elettori, del valore del proprio voto, unico strumento reale e democratico per incidere sulla governance della nostra regione. Se solo una parte delle migliaia di astenuti si fosse recata alle urne sposando la proposta di rottura offerta dal Movimento 5 Stelle, oggi la Sicilia si sarebbe potuta aprire ad un nuovo percorso e avrebbe accolto una sfida impensabile solo pochi mesi fa. Invece il governo della regione è stato consegnato ad un presidente che dichiara di volere cominciare la rivoluzione utilizzando come teste d’ariete vecchie glorie dell’UDC di Cuffaro e come combattenti i gloriosi membri del PD, cariatidi del governo Lombardo fino a pochi giorni prima. Il nuovo Movimento, pur rappresentando il partito di maggioranza all’ARS, a ben guardare, deve questo primato solo alla spaccatura interna vissuta dal centro destra. Nonostante il grande risultato elettorale, i grillini potranno pure lamentarsi, sgolarsi e condannare, ma rimarranno ai margini e saranno per nulla incisivi sulle reali scelte dell’amministrazione regionale. Grazie al contributo degli astenuti e con buona pace di chi ha posto le speranze e ha voluto credere alla rivoluzione siciliana.