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La Memoria della Shoah ridicolizzata da Tik Tok con la “Holocaust Challenge”

L'intervista ad Alberto Sed, sopravvissuto dei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau

Tik Tok ha introdotto una “Holocaust Challenge” dove gli utenti, fingendo di essere vittime della Shoah, scattano selfie con effetti che hanno lo scopo di riprodurre nel loro viso la sofferenza dei deportati dei campi di concentramento. Questo comprova l’approdo nell’era della ridicolizzazione delle tragedie e dei genocidi. La storia pare non sia una degna maestra di vita. Forse andrebbe studiata meglio. 

Perché Auschwitz non era un luna park. A provarlo le parole di Alberto Sed, sopravvissuto dei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau. Le ho ascoltate direttamente dalla sua bocca. A casa sua. Seduti sul divano come due vecchi amici. E sono valse più di cento libri. Personalmente mi hanno chiarito come un evento traumatico come quello della Shoah sia stato vissuto a livello individuale da persone che vivevano una vita normale e che senza colpa alcuna, sono state scaraventate nell’inferno.

“Successivamente mi spostarono ai trasporti. C’erano tre comandi: quelli che pulivano i treni, quelli che portavano via le valigie e la roba che era rimasta, e il terzo che spartiva le persone. Io facevo parte di questo. Prima dovevi dividere donne e uomini e poi dovevi indirizzare le persone: gli anziani che non potevano camminare sopra un carretto, quelli che potevano camminare da un’altra parte e i neonati, si toglievano in braccio alle madri o ai padri e si mettevano in un altro carretto. Davanti a me c’era un uomo con un neonato in braccio. I due tedeschi gli dicono “Buttalo dentro il carretto” e lui allunga il passo e lo posa. Uno dei tedeschi gli mette la pistola sulla gola: “Non hai capito quello che ti ho detto!” “Ma ho fatto presto” “Io mica t’ho detto di fare presto. Ti ho detto di lanciarlo. O non hai capito? Nessun problema. Se non lo fai te, lo fa quello che viene appresso” Allora lui è andato a prendere di nuovo il neonato. L’ha tirato in aria. Il tedesco si è avvicinato e ha fatto il tiro a segno con la pistola. Poteva avere due mesi. Speravi che fosse già morto. Altrimenti chissà che sofferenza. Ma già piangevano tutti. Urlavano dalla fame. 

Fino ad oggi non ho più preso né i miei figli né altri bambini fino a che non camminavano. Non ci sono mai riuscito”. 

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