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Nove anni dalla morte di Norman Zarcone, tra la rabbia di un genitore e l’indifferenza delle istituzioni

PALERMO – Sono passati nove anni da quel tragico 13 settembre 2010, quando Norman Zarcone, giovane dottorando all’Università degli Studi di Palermo, decise di togliersi la vita lanciandosi dal settimo piano dell’ateneo. Anni di studi e di sacrifici per sentirsi dire che non avrebbe avuto un futuro all’interno dell’università.

È la storia di uno e di tantissimi altri: giovani sacrificati allo studio e alla formazione, giovani a cui per anni è stato detto che nella vita bisogna studiare per raggiungere obiettivi importanti. Giovani che però, alla fine, rimangono spesso nella nebbia del precariato, delle raccomandazioni, della mancanza di meritocrazia. Molto se ne vanno, quasi tutti in realtà.

“Mio figlio è morto nel 2010 – scrive il padre in una lettera -, ma muore anche oggi, muore ogni giorno perché lo Stato, questo Stato nel quale continuo a credere malgrado tutto e nel quale ha creduto anche Norman, troppo spesso divora i propri figli dopo averli demotivati, frustrati e mortificati”. Il padre di Norman non ha mai spesso di lottare, ma ancora oggi è troppo spesso un muro di gomma quello che gli si presenta davanti.

Pubblichiamo per intero la lettera scritta da Claudio Zarcone, padre di Norman:

“Mio figlio è morto” nel 2010, ma muore anche oggi, muore ogni giorno perché lo Stato, questo Stato nel quale continuo a credere malgrado tutto e nel quale ha creduto anche Norman, troppo spesso divora i propri figli dopo averli demotivati, frustrati e mortificati. Troppi silenzi da parte delle istituzioni, troppa ipocrisia di Stato per un omicidio di Stato ogni giorno più evidente.
Sono stanco di rimanere intrappolato nelle logiche imbalsamate di una politica ignava, bugiarda, votata esclusivamente alle copertine. Organizzare la manifestazione annuale in memoria di Norman mi fiacca, mi deprime, mi costa, perché – oltre a ricordare le mani di mio figlio sul pianoforte che suonano l’intro di Firth of Fifth dei Genesis – devo fare i conti con i ricordi, i rimpianti, come quello che non potrò mai vedere mio figlio giocare, suonare con i suoi nipoti. Mi manca l’odore di Norman…
E poi: troppi cavilli inintelligibili, arzigogoli vari messi come vernice dello status quo, troppe promesse non mantenute, troppe parole sprecate a telecamere accese per far passerella.
Sono stanchissimo, sbatto contro l’ipocrisia di incantatori di serpenti. Troppi falsi amici nelle istituzioni, troppi finti e untuosi rivoluzionari mendicano la scena, troppi impostori della libertà di pensiero riconosco fra le vestali dell’ipocrisia istituzionale. Ricorreremo pertanto alla “violenza” della musica di Norman e della memoria (vedi programma). Abbiamo scelto come esergo le parole di De André perché finché avrò vita li cercherò, li stanerò dalla loro latitanza istituzionale, come ha fatto Norman col suo urlo atroce: “Ma finché li cerco io i latitanti sono loro”.
Non ho mai manifestato nessun intento strappalacrime – le lacrime, le emozioni, non sempre sono portatrici di verità – piuttosto ho agito su un registro narrativo che invita alla riflessione sul gesto di discontinuità osato con il linguaggio più atroce e lancinante da Norman: in questo caso sì che potrà definirsi un “linguaggio del corpo” in piena regola.
Il corpo di Norman che per dire, osare, parlare, denunciare, gridare con insolenza (insolenza ha come storia semantica, insolito), dopo aver parlato, ha taciuto per sempre.
Ma se il suo corpo oggi tace, il messaggio espresso con struggimento è invece rimasto ad ammonirci sulle mafioserie  di un sistema che purtroppo gode ancora di troppe coperture politiche, istituzionali; esso stesso espressione di un modo di pensare servile, mafioso e dalle traboccanti compiacenze nei suoi confronti da parte del controllore. Dimodoché, in questo rimando di responsabilità che vanno dal controllato al controllore, si cade nell’effetto matrioska. Il gioco delle responsabilità diviene allora, il gioco delle complicità e dell’omesso controllo nell’incastro che va dal pezzo più grande a quello più piccolo. Chiedo con convinzione e veemenza che i casi di baronaggio vengano giudicati con l’articolo 416 bis del codice penale: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della  forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di  assoggettamento  e di  omertà  che ne deriva…”. Vi invito a leggere la dichiarazione dell’attuale Rettore, una dichiarazione che offende la memoria di Norman, che rende il senso della loro ‘latitanza’ da stanare: “Nel mondo universitario la cooptazione esiste e non può essere considerata necessariamente un male. Mi sembra normale che lo studente che all’interno di quella scuola si è impegnato duramente cerchi il riconoscimento del suo lavoro, un piccolo vantaggio, naturalmente nel pieno rispetto delle leggi” (4 aprile 2018). I concetti di piccolo vantaggio e di rispetto delle leggi sono uno schifosissimo ossimoro, la prova provata che i baroni universitari sono dei ‘demotivatori  istituzionali’ in quella terra di nessuno che è diventata l’università italiana. E fin qui la storia non mi ha mai, purtroppo, smentito (gli ultimi casi di Catania vi dicono niente?). Allora io scrivo. Scriverò col sangue agli occhi. Altri continueranno forse a farlo. Loro – i mestatori istituzionali –  sono forti, potenti, si sentono imbattibili, forse lo sono per complicità di sistema. Ma io scriverò e griderò ancora “mafiosi!”, di più non potrei fare. Poi, se altri grideranno, faremo traballare – almeno questo – le certezze,  le impunità  e la ‘latitanza’ di chi si sente inattaccabile. E non casualmente dall’Italia intera fioccano premi e borse di studio in memoria di Norman, come quella che prenderà il via in Campania nel giorno della morte di mio figlio.

Dopo nove anni dalla morte di Norman Zarcone si terrà una manifestazione per sensibilizzare ulteriormente le istituzioni riguardo il problema della precarietà del lavoro e della poca meritocrazia in Italia. Alle ore 10,00 ci sarà la cerimonia in memoria di Norman, alla presenza del sindaco e delle autorità, presso la rotonda Norman Zarcone, a Brancaccio. Dalle ore 20,00 fino alle 24,00 in piazza Bellini ci saranno concerti e cultura no stop. Comincerà Marco Canzonieri, cui seguirà la proiezione del corto “Come un aquilone” e “Un cielo senza stelle”; successivamente sarà eseguito un reading di poesie scelte, Giovanna Di Marco reciterà passi di Leonardo Sciascia, dopodiché suoneranno i gruppi Agnello, Afasia, il cantautore Enrico Scardina e la Norman Zarcone Rock Orchestra.

Per l’occasione l’associazione campana “Casa di Bacco” ha istituito una borsa di studio per gli studenti iscritti all’Istituto Tecnico Agrario, indirizzo Viticoltura ed Enologia di Guardia Sanframondi, provincia di Benevento. Una piccola ma importante borsa di studio, che vuole premiare quei giovani che hanno lavorato con costanza e dedizione per raggiungere i propri obiettivi.

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