Monreale, 20 dicembre 2016 – Quando ipotizzammo, con la collega Maria Rosa Buono, un percorso di Capoeira per Abraço (perché questo è il suo nome da Capoerista), non immaginavamo certo la tappa dello stage che si è tenuto ieri a Palermo, condotto da Mestre Zoi e dall’Academìa de Capoeira Zumbì di Palermo.
Avevo già avuto modo, da più di un decennio, di verificare quanto questa disciplina fosse funzionale a bambini cosiddetti “difficili”, svantaggiati, con difficoltà relazionali e non solo; quanto e in che misura possa recuperare, attraverso la complessità del gioco, nascosta sotto l’aspetto ludico, bambini e adulti, giovani e meno giovani. Recuperare alle regole, recuperare alla relazione, recuperare all’autostima e, soprattutto, alla fiducia nel mondo, e a sapersi muovere nel mondo, in quel microcosmo che è la “roda”, un cerchio formato dai giocatori che, appunto, simbolizza il mondo.
Nel bene e nel male, nella difesa e nell’attacco ma sempre e comunque senza volere intenzionalmente fare male. Un’arte marziale ben strana, se paragonata con quelle più aggressive e competitive che conosciamo. Che insegna a guardare sempre negli occhi chi gioca con te, ad anticiparne le mosse, ad intuirne le intenzioni osservando sempre la regola primaria del rispetto e dell’empatia con l’altro.
E il mondo intorno, la “roda”, osserva. Osserva non con cattiveria, non per valutare, non per giudicare, non per tifare, non per schierarsi con il più “forte” o il più “bravo”. Osserva e partecipa, scandendo con il battito delle mani i canti e il suono dei birimbao, per incoraggiare, per trasmettere energia e coraggio ai giocatori. Perché ogni essere umano è unico e speciale, così com’è. Un mondo dove i grandi giocano con i piccoli, i giovani con i meno giovani, i più esperti con i principianti, adeguando di volta in volta i propri ritmi e le proprie capacità a colui che hanno di fronte. Anche se non lo conosci.
Ma non era quello che poteva essere utile per Abraço? Un bambino autistico, con le sue ovvie difficoltà di relazione, con la tendenza tipica a perdersi dietro pensieri, o azioni stereotipate, con la difficoltà, proprio per questo, di comprendere “a naso” chi ha di fronte, con la difficoltà di seguire regole severe e rigorose o a lasciar perdere qualcosa quando ritenuta difficile o addirittura impossibile. “Non ce la faccio”. Cominciò così…
E invece puoi, abbiamo risposto. Non voglio più sentirtelo dire, fece eco Marco, l’istruttore.
Domenica 18 dicembre, dopo innumerevoli, faticosi ma divertenti esercizi, con Maestri a lui sconosciuti, con bambini mai visti prima, lontano nel perimetro della palestra dai genitori e da me che osservavo, Abraço, dopo sei ore, ha avuto il suo battesimo, “batizado” di Capoeira. Ha osservato, ha guardato negli occhi, si è difeso, ha riso, ha cantato, ha eseguito perfettamente gli esercizi. Ha avuto la sua prima cintura e il suo nome, conquistati, non regalati, con la fatica e l’impegno suo e nostro. E con tutto l’amore del “mondo”, concentrato in una roda, in quel nome: Abraço. Abbraccio.