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Oltre la crisi di governo, si gioca un’altra partita

Una crisi di governo graduale, in cui uno dei due partiti della coalizione di governo chiede, non ufficialmente, il rimpasto e la sostituzione di alcuni ministri del partito alleato. Poi dalla volontà di un rimpasto si è passati alla mozione di sfiducia al Premier.

Fatto anomalo, potrebbe sembrare, perché tutto parte da chi di quel governo ne fa parte, con tanto di ministri, sottosegretari, viceministri, uffici di gabinetto e collaboratori fiduciari.
A un certo punto l’annuncio del ritiro dei ministri, salvo poi fare marcia indietro: rimane la mozione di sfiducia e i ministri rimangono al loro posto.

Letta così potrebbe sembrare una forma di schizofrenia, d’incoerenza o addirittura d’incartamento di una strategia politica. Come ad esempio sembra emergere dalle dichiarazioni del numero due del partito che ha presentato la mozione di sfiducia al premier: un leader che sceglie in solitaria, è responsabile di ciò che verrà.

Nel frattempo, fatto di non poco conto perché sviluppatosi in contemporanea della crisi di governo e alla richiesta di andare al voto subito, i sondaggi elettorali vedevano una crescita progressiva di chi prima chiedeva il rimpasto, poi il ritiro dei propri ministri e dopo la mozione di sfiducia.
Ma nelle ultime ore un fatto nuovo: la linea politica intransigente sull’immigrazione nelle ultime ore si è ammorbidita nel momento in cui ha ceduto facendo sbarcare 27 immigrati minorenni della nave Open arms.

Il tutto nel nome di una collaborazione nei confronti del partito di cui si manifestava la disapprovazione verso il lavoro dei ministri che lo rappresentano e dello stesso premier cui oggi è indirizzata la mozione di sfiducia.

Tutto questo, tuttavia, ha un senso se non perdiamo di vista un fatto ineludibile: la crisi di governo è una partita di potere, ma anche un vasto gioco di poltrone.

Infatti, al governo toccano alcune nomine importanti: Leonardo, il gruppo della difesa, oggi guidato da Alessandro Profumo; Eni, l’azienda petrolifera oggi guidata da Claudio Descalzi; Poste italiane, oggi guidata da Matteo Del Fante; l’Anac, l’Autorità contro la corruzione; l’Inps con la distribuzione dei posti; Sace, società che assicura gli scambi con l’estero è uno snodo importante; Terna; Enav. E ancora Ansaldo Energia, Sogei (la società che gestisce l’uscita dal nucleare) e due agenzie particolarmente sensibili: quella per le comunicazioni (Agcom) e il garante per la privacy.

Un insieme che forse rende chiaro cosa potevano significare quei sondaggi per un partito in crescita esponenziale: immaginiamo la differenza della capacità di incidere che potrebbe avere un partito che passa dal 17% a quasi il 40% in governo nuovo di zecca, di cui ha il merito maggiore per il conseguimento della vittoria? 

Chi non avrebbe chiesto elezioni subito?
Ma se queste elezioni non arrivano e quel partito della sfiducia rischia di trovarsi fuori?

Chi allora non avrebbe cambiato finanche la propria linea politica sull’immigrazione?o

Forse, allora, è lecito pensare che non è vero quando si dice che si chiede il voto perché non si è attaccati alle poltrone?

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