Appena, i carrettieri arrivavano in paese, chi se lo poteva permettere accorreva ad accattare u pisci, di solito purtavanu: scurmi, sarde, asineddi, maccaruneddu e cicireddu. U scurmu si facia o arrustutu o nto sucu, tuttu u restu ‘nfarinatu e frittu!
Ma pi diri a verità, doppu tutta sta strata, arrivava anticchia fituseddu; pi manciari pisci veramenti friscu, s’avia a scinniri ‘mpalermu, unni c’eranu i tavirnara che tu friianu pi davanti!
“Mio padre, racconta spesso, che un giorno mio nonno, fece vestire tutta la famiglia a festa, se la portò a Palermo con il taxi, si fecero una passeggiata per il centro della città, a ora di pranzo passarono da un pescivendolo che aveva delle sarde chi abballavanu suli suli, si nni fici fari na para i chili e poi passarono da un tavernaro per farle friggere… si liccaru l’unghia e dopo pranzo passarono dal fotografo per farsi fare un bel ritratto di famiglia! Quel giorno goderono tutti di una bella botta di mondanità”!
Ora, grazie al progresso arriva friscu, ma! Attenzione, arriva puru chiddu fitusu a causa delle escursioni termiche che potrebbe subire!
E non si dica che a casa mia entri pesce fitusu!
Quannu me patri era ancora buniceddu, Né io né le mie sorelle potevamo comprare pesce, meno che mai mia madre, perché siamo babbe, e inesperte, perciò n’infrusano! Il pesce lo doveva comprare Lui!
Quando al mattino, mia madre gli sentiva dire: – “vaju ad accattari du piscitedda” a dda santa cristiana ci veni un motu, intantu pi comu è a cipudda su i pisci, quindi le sue narici sensibili non possono sopportare tutto questo stress, e poi perché sapeva che avrebbe portato una quantità di pesce tale da sfamare un reggimentu di surdati! perché Iddu è come Giufà, che se deve andare a prendere un secchio di acqua al pozzo, porta tutto il pozzo!
Quando tornava con il suo bel sacchetto pieno di “coppi” di pesce si cci avi a fari puru priu! apriva quei coppi di pesce con un entusiasmo ed un’enfasi che ti disarmavano!
E accuminciava a litania:
– Talia chi su beddi sti àmmari su senza ammoniaca!
– Talia sta siccia, è frisca frisca, ci fici mettiri u nuvuru di latu!
– Sti sardi, su na maravigghia!
– Stu pugniddu di cicireddu, mu arrialò…
Signuri meu! Puru u cicireddu!Ma se glielo regalava, che fa? Ci diceva no? S’affenneva u pisciaru!
Col sorriso sulle labbra, e con il nirbuso nella pancia, si cominciava a pensare come cucinare tutta sta roba e cosa farne dopo! Mica si poteva mangiare tutto in una sola volta!
L’àmmaru e u cicireddu s’avianu u a friiri subbitu e mangiare cavuri cavuri! Va si nò scappavanu!
Con la siccia, visto che c’era pure il suo inchiostro, si faceva la conza per la pasta cu nivuro per congelarla e consumarla in un secondo momento!
E i sardi? Con le sarde mi vendicavo, gli faccio una sorta di ricatto psicologico, gli chiedevo se le preferifa “una ‘ncapu e una sutta” con l’aceto, come le faceva la bonarmuzza, gli si illuminavano subito gli occhi ed era questo il momento che colglievo per chiedergli, con un sorrisetto ‘ntropito e ruffiano se le pulisva togliendo la lisca interna, lasciando la codina! Sapevo che lo avrebbe fatto, mio padre non mi resiste! La fortuna di essere a chiù nica!
Ecco come le prepariamo:
Ingredienti per quattro persone
24 sarde fresche aperte e diliscate;
aceto di vino rosso per la marinata q.b.;
il ripieno:
200 gr circa di pangrattato;
4 cucchiai di caciocavallo grattugiato;
¼ di bicchiere di aceto di vino rosso;
un mazzetto di prezzemolo;
pepe;
inoltre:
farina di grano duro per infarinare;
olio di oliva extravergine d’oliva per friggere.
dopo aver pulito e diliscato le sarde, si mettono in una ciotola a bagno con un po’ di aceto per farle marinare leggermente, dai cinque ai dieci minuti non di più. Intanto, in una ciotola a parte, si mette il pangrattato bene inumidito, il quarto di aceto, il caciocavallo grattugiato, il prezzemolo tritato minutamente e il pepe (chi vuole può aggiungere sale, io non ne metto) si amalgamano per bene gli ingredienti, fino ad ottenere un condimento piuttosto morbido.
Questo condimento andrà messo tra due sarde aperte e sgocciolate dall’aceto in eccesso, poi saranno infarinate per bene e successivamente fritte in abbondante olio di oliva!
Cavuri su bboni.
Debbidi su chiù bboni.
Friddi, di quantu su duci, un si ponnu livari da vucca!
(antonella gullo)