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A chi non piace il Decreto Dignità?

24 ottobre 2018 – Il Decreto Dignità non è piaciuto agli industriali, questa sembra essere stata la costante nell’iter di entrata in vigore della legge, mai esente da critiche. Volendo essere ancora più specifici il decreto non è piaciuto soprattutto agli industriali del nord, dove il Movimento 5 Stelle va notoriamente peggio che nel meridione. Intervistato dal Corriere della Sera, al vicepremier pentastellato Luigi Di Maio, padre del decreto, veniva chiesto un commento in merito alle critiche ricevute dalle associazioni imprenditoriali del Veneto, Emilia e Trentino-Alto Adige contestualmente alla lancia spezzata a favore dal presidente di Confindustria del Veneto Matteo Zoppas. Di Maio rispondeva:

Il decreto Dignità, ribadisco, non è una misura contro le imprese, è una misura che mette un freno alla deriva dell’utilizzo dei contratti a tempo determinato. I contratti di un giorno, una settimana o di qualche mese mortificano i lavoratori ma neanche aiutano le imprese. Le imprese che realmente investono sui lavoratori non avranno problemi ad uniformarsi alla nuova normativa. Voglio sottolineare che questo Governo è ben consapevole dell’importanza del mondo imprenditoriale per lo sviluppo del Paese. Opereremo anche sul costo del lavoro per favorire le assunzioni a tempo indeterminato. Ho apprezzato l’apertura del Presidente Zoppas, noi siamo pronti a confrontarci, come abbiamo sempre fatto con tutti. Ribadisco noi non siamo contro l’imprese, siamo per l’impresa che cresce e genera ricchezza tutelando il lavoro”.

Segnali di distensione, dunque, che però non sono giunti nei confronti anche di un altro tipo di industria, quella del gioco d’azzardo, poiché è vero che il decreto non è una misura contro le imprese, ma di sicuro è una misura contro il gioco d’azzardo. Tra i vari punti toccati dalla legge approvata in agosto c’è anche il divieto di pubblicità e sponsorizzazione del gioco contenuto all’articolo 9. Si potrebbe obiettare che il decreto si schiera solo in contrasto alla ludopatia, al disturbo da gioco compulsivo e non all’azzardo in sé, ma di fatti quello imposto è un vero e proprio veto che nel medio lungo termine porterà ad una diminuzione degli introiti nel settore.

D’altronde quella che il vicepremier in quota 5 Stelle ha sempre definito “lobby del gioco d’azzardo” ha subito fatto notare che il provvedimento avrebbe tolto al settore uno strumento potente come la pubblicità, utile non solo a reclamizzare le scommesse ma anche a discernere il gioco legale da quello illegale. Non avendo più un distinguo tra le due cose gli operatori del settore si sono lanciati in una previsione (che il tempo ci dirà se giusta o affrettata): il decreto porterà di nuovo in auge il gioco illegale nel rispetto di una dinamica tipica del proibizionismo, in sfavore di un ribasso del gioco lecito. Di Maio ha risposto che sul tema sono impensabili passi indietro, che la salute dei cittadini viene prima di tutto e che la logica seguita è questa: se cala il gioco legale cala anche quello illegale. Il tempo ci dirà se questa previsione sia giusta o sbagliata.

Pare quindi che in entrambi i casi il flusso di gioco dovrà diminuire in ogni caso, non una buona notizia per un settore che dà lavoro a 150 mila addetti distribuiti su 6 mila imprese. La raccolta (il prelievo erariale) per lo Stato, al netto delle vincite ridistribuite, supera i 19 miliardi di euro che rientrano nelle casse italiane, ma su questo i tecnici del governo dicono che almeno nei prossimi 5 anni non ci saranno cali dell’indotto. Lo stop della pubblicità avrà però effetto sulle 206 sale bingo, i 1.333 luoghi di scommesse sportive, i 237 per i giochi d’ippica e i 3.160 per le scommesse ippiche, le 5 mila sale videolottery, i 33.800 luoghi per giochi a totalizzatore, le 34 mila ricevitorie del lotto, i 63 mila punti di vendita per le lotterie, gli 85 mila esercizi commerciali con slot (fonte Ministero dell’Economia). 

Per non tirare in ballo anche il settore digitale che gradualmente si avvicina all’offline in virtù della massiva traduzione di tutti i giochi analogici, classici da casinò, bingo, roulette, giochi di carte, tutto o quasi disponibile anche sul web e su ogni tipo di device (smartphone, tablet e addirittura smartwatch).

Proprio SGI, acronimo di Sistema Gioco Italia ovvero una federazione di filiera dell’industria del gioco aderente a Confindustria, ha provato a battere un colpo in luglio suggerendo innanzitutto di ripensare allo stop della pubblicità in favore di una più ragionata rete di normative per meglio regolare lo strumento, aggiungendo poi altre possibili leggi per rilanciare il settore: uniformare il distanziometro (distanza che i locali di gioco devono tenere da luoghi sensibili come scuole e ospedali), riqualificare i locali, investire nella formazione degli esercenti, uniformare la comunicazione di prossimità (le vetrine dei locali), riformare ippica e bingo, riformare la metodologia del PREU (prelievo erariale unico). Insomma, la richiesta era chiara: “il governo ci ascolti perché c’è bisogno anche di altro, non solo di una norma anti-gioco”. Il governo però è convinto di agire nella tutela della salute dei propri cittadini, e di certo il consenso popolare non è ciò che manca all’esecutivo, quindi è possibile che in futuro ci saranno incontri per compendiare e arricchire la norma, ma riguardo il divieto di pubblicità e sponsorizzazioni questo è destinato a rimanere fino a prova contraria.

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