È passato qualche mese dall’inaugurazione del restauro della basilica dell’Abbazia di San Martino delle Scale, dopo tre anni di lavori questo gioiello monumentale è stato portato all’antico splendore.
Gli interventi principali previsti sono di restauro e consolidamento delle masse murarie portanti e delle volte. Nel corso dei secoli, l’abbazia ha subito altri innumerevoli interventi architettonici, e spesso in passato, col termine restauro si celava una vera e propria riedificazione, aggiunta e/o modifica al corpo di fabbrica, e ciò nel tempo ha prodotto lesioni tra parti esistenti e parti aggiunte definibili “fisiologiche”.
Il restauro curato dalla Soprintendenza per i Beni culturali ed ambientali di Palermo (divenuto Dipartimento dei Beni culturali e dell’Identità siciliana) quale stazione appaltante, sarebbe dovuto terminare, secondo quanto previsto dal contratto, nell’arco di due anni dalla consegna dei lavori. Ma come spesso accade per le opere pubbliche, ed aggiungerei come spesso accade per le opere pubbliche in Italia, gli imprevisti, i contrattempi ed i ritardi sono all’ordine del giorno. Infatti i lavori, progettati nel 1990 ed iniziati nel 2009, non sono ancora del tutto terminati dopo ben tre anni, nel frattempo, il cambio di moneta, dalla lira all’euro ed il susseguirsi dei governi al potere ha imposto al team di architetti, ingegneri e tecnici della direzione dei lavori un’analisi delle priorità che indubbiamente hanno portato alla scelta selettiva degli interventi da portare a termine nel breve periodo.
L’Abbazia di San Martino delle Scale prende il nome dall’antico complesso benedettino fondato da Papa Gregorio Magno nel VI secolo. Dopo essere stata distrutta nell’837 dagli Arabi, venne riedificata nel 1347 dal benedettino Angelo Sinisio e dedicata a San Martino, vescovo di Tours. Il corpo di fabbrica è opera pregevole dell’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia che operò nella seconda metà del XVIII secolo, ed ora di proprietà del F.E.C. (Fondo Edifici per il Culto). Oggi l’immenso complesso architettonico, che si sviluppa attorno alla chiesa, si presenta costituito da molteplici chiostri, logge ed edifici minori, proprio come vuole la tradizione benedettina dell’Ora et labora, ogni monastero dove essere costituito in modo tale da avere entro le sue mura tutto quanto è necessario, così che i monaci non siano obbligati ad uscire: acqua, mulino, orto e officina. Tra i sei chiostri del complesso il più famoso è certamente quello della Fontana di San Benedetto, ristrutturato nel 1612 dall’architetto Giulio Lasso. La chiesa, di impianto cinquecentesco, ha un’unica navata fiancheggiata da 10 cappelle laterali, ed é sormontata da una modesta cupola di dimensioni contenute, all’interno della quale si trovano numerose opere d’arte tra le quali tele di Paolo de Matteis, Filippo Paladini, Zoppo di Gangi, e dal monrealese Pietro Novelli, oltre a presentare marmi raffinati e lucentissimi.
Immenso e spettacolare è il Coro ligneo ad intarsi, anch’esso interessato da un meticoloso lavoro di restauro, opera cinquecentesca napoletana degli scultori Benvenuto Tortelli da Brescia, Nunzio Ferrara e G. B. Vigilante, che fu completato solo nel ’700. Composto da 68 stalli e lungo 20 metri, conserva un organo ancora perfettamente funzionante che può inserirsi tra i più potenti tra quelle delle chiese siciliane. Altre bellissime opere visitabili sono la Cappella delle reliquie custodite nella storica abbazia, che vanta il possesso di 4 corpi di Santi e 1253 reliquie e il Portale marmoreo trecentesco. Da annoverare tra le tante altre meraviglie, infine, la monumentale fontana dell’Oreto, opera di Ignazio Marabitti.
Valeria Messina