Monreale, 20 novembre 2018 – “Ritengo con carte alla mano che abbiamo operato nel rispetto della legge, e lo dimostreremo nelle sedi opportune”. Dinanzi alla richiesta di rinvio a giudizio emessa dal Procuratore Aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Claudia Ferrari, il sindaco di Monreale, Piero Capizzi, e il dirigente Maurizio Busacca, dichiarano di avere ottemperato alle norme previste da legge.

L’affidamento diretto nei confronti della “Tech Servizi srl” di Siracusa, al centro dell’accusa di falso e abuso d’ufficio rivolta dai magistrati di Palermo, era avvenuta in un contesto di emergenza igienico sanitaria per il comune di Monreale, dovuto al fallimento della società addetta alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti, la Alto Belice Ambiente, dichiarato nel dicembre 2014.
I 17 comuni dell’ATO PA2 erano sommersi dai rifiuti, per cui i sindaci, non solo quello di Monreale, provvedevano in via straordinaria all’affidamento diretto a ditte esterne del servizio di raccolta e smaltimento, avvalendosi delle procedure, appunto “straordinarie”, previste dall’art. 191, che consentiva così di accelerare i tempi evitando le gare.
Secondo gli inquirenti, Capizzi avrebbe fatto ricorso per ben 18 volte alle ordinanze senza farsi accertare dall’ASP lo stato di emergenza sanitaria.
Da una prima visione dei documenti sembrerebbe che il primo parere era stato richiesto, così da attivare il 191 e conferire il primo affidamento per il primo mese. Sussistendo lo stato di emergenza sanitaria, sindaco e dirigente dell’ufficio competente, l’ing. Maurizio Busacca, avrebbero continuato ad affidare il servizio alla stessa ditta. Ma non in modo arbitrario. La Tech, infatti, sarebbe stata scelta tra quelle che, avendo lavorato per l’Alto Belice Ambiente, erano state invitate a presentare un’offerta. E di volta in volta, prima di emettere l’ordinanza per l’affidamento diretto, il dirigente avrebbe sempre mandato ulteriori PEC di invito alle varie ditte. Un aspetto importante del quale sul fascicolo non sembra esservi però traccia, e che potrebbe costituire un elemento fondamentale sul quale costruire la difesa.
L’accusa contesta inoltre che tra un’ordinanza e l’altra non sarebbero seguite altre richieste di parere all’ASP, contravvenendo così alla normativa di riferimento. Un aspetto che i due soggetti indiziati di reato non negano e che saranno chiamati a giustificare.
L’attesa del parere dell’ASP avrebbe gettato il comune in una nuova emergenza sanitaria, dato che in quel periodo si producevano circa 40 tonnellate di rifiuti al giorno nel solo territorio di Monreale. Il presupposto di tutte le successive ordinanze, cioè la crisi igienico sanitaria, era identico. Con tutta probabilità per questo motivo l’amministrazione avrebbe optato per l’affidamento diretto senza chiedere ulteriore parere all’ASP.
La sentenza di fallimento dell’ATO prevedeva che si sarebbe dovuti ripartire con il servizio pubblico, tramite la cessione del ramo d’azienda alla SRR. In quel periodo c’era un tavolo aperto al Dipartimento rifiuti dell’Assessorato. “Per questo facevamo le ordinanze di trenta giorni in trenta, a volte anche di 4, come se fosse un’unica ordinanza. Le ordinanze quindi si sarebbero dovute considerare continuative, in attesa di fare il passaggio definitivo alla SRR” – spiega Capizzi.
L’indagine sul sindaco di Monreale, ma sarebbe più corretto dire sui vari sindaci dei 17 comuni serviti dall’ABA, si sviluppa in seguito ad una serie di denunce presentate in Procura da alcuni lavoratori della stessa ABA. Si ipotizzava che tramite il ricorso al 191, i sindaci avrebbero favorito amici e parenti, che venivano assunti dalle ditte private, a discapito dei dipendenti dell’ABA che non potevano essere assunti da tali ditte. Ma l’inchiesta non portò a nulla.