Monreale, 15 ottobre 2017 – Per gli abitanti di Manhattan degli anni ’50 non deve essere più sembrato tanto strano, a un certo punto, vedere quell’individuo decisamente strambo suonare vestito da Thor all’incrocio tra la 53° e la 6° avenue.
Un giovane uomo barbuto, sulla trentina, con elmo e corna in testa, intento a liberare la voce di strani aggeggi che si rivelarono strumenti di sua invenzione, senza neppure aver più la vista.
Questo surreale clochard però non divenne famoso, dopo un po’, presso i circoli jazz e non della città per la sua giudicata “stramberia” nel presentarsi: Moondog, questo il suo soprannome, riusciva a trasformare perfettamente in musica i suoni e le atmosfere della strada, dal rombo della metro alla nebbia urbana, con semplicità e sincerità. I passi della gente sulle strisce pedonali o il percorso su cui correva il tram newyorkese divenivano melodia per il suo jazz sperimentale e personalissimo, suonato con un ritmo che l’artista stesso chiamava “snaketime” (“un ritmo scivoloso, in tempi non consueti”) e arricchito dal suono straniante degli strumenti con cui si accompagnava, sue personali creazioni, tra cui l’arpa triangolare “Oo” e la “trimba”, uno strumento a percussione che evoca ritmi tribali.
Stupefacente come una persona senza la vista, che Moondog perse da ragazzino per un incidente con un mortaretto, riesca a costruire con le sue mani strumenti nuovi e completamente unici, o come riesca a scrivere le sue composizioni personalmente. Con una limpidezza e una genuinità pura: la musica di Moondog è senza fronzoli, candida. Per godere al meglio della sua opera consiglio la raccolta “The Viking Of Sixth Avenue“, che contiene, tra i tanti, due suoi capolavori che voglio sottolinearvi: la famosa e commovente “Bird’s Lament“, con un sassofono strepitoso, e “Heimdall Fanfare“, una solenne fanfara vichinga al sassofono e percussioni di sottofondo.
Poeta, musicista sperimentale, autore di saggi filosofici sulla musica, seguace di Thor, clochard bambino che ha perso la vista, si può definire Moondog come si vuole, ma non si potrà mai inscatolare in una di queste definizioni o in altre. Noi diciamo “questa città è casa nostra” senza sapere veramente cosa stiamo dicendo; Moondog, che aveva per proprio tetto i portici e per proprio letto i marciapiedi, lo sapeva fin troppo bene.