Monreale, 11 giugno 2017 – “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Questa amara riflessione di Umberto Eco delinea un nuovo inquietante aspetto della società attuale, sicuramente tra i più devastanti: l’aggressività mediatica e il giudizio frettoloso che la gente “sentenzia” ad ogni piè sospinto, da un web sempre più spudorato e senza filtri, quel web che somiglia a una sorta di colossale bastimento, senza dubbio utilissimo per trainare e veicolare contenuti anche culturali, ma spesso privo di timonieri, muniti di patente adeguata. Una moltitudine di individui, attanagliata da mille incombenze, ha preso ormai l’abitudine di rilassarsi con uno sport, purtroppo sempre più in espansione: quello di praticare la maldicenza, di emettere valutazioni empiriche e superficiali, senza sforzarsi di “partorire” un pensiero che abbia un barlume di rispetto per persone e situazioni, magari solo un tiepido guizzo di umana comprensione. Lo schermo di un pc e quello di uno smartphone diventano elementi che ci isolano, amorfi e freddi: essi ci rimandano, senza barriere, il riflesso dei nostri pensieri più “impulsivi”, tipici di un’aggressività sorda, covata nel tran tran del logorio quotidiano, che attraverso la pseudo-libertà social, esplode come uno tsunami, travolgendo diverse tipologie di individui random, per le più disparate situazioni o presunte colpe. Al contrario, il volto di un interlocutore in carne ed ossa pone, di per sé, il filtro fondamentale: ci ricorda, che in questo mondo non siamo solo numeri indifferenziati, birilli, ma persone, fatte della stessa sostanza dei sogni e dei dolori, che ci accomuna indistintamente: storie a volte positive, altre volte sofferte, volti, emozioni e sentimenti reali. La conquista di un potere enorme legato al fatto di poter esprimere ciò che passa dalla propria testa in qualsiasi momento, luogo e condizione, ha determinato, in barba a qualsiasi principio etico, la rivendicazione di giudizi sommari, spesso infamanti, “catapultati” nel web con la stessa semplicità con cui si beve un caffè. Ci si trasforma in accaniti e improvvisati censori degli affari altrui, mentre si cammina per strada, dalle proprie automobili, dal negozio, mentre si aspetta la moglie o il marito, indaffarati a provare abiti, dal tinello di casa, dove, per compensare la noia di certe serate spente, si cerca di “allietarle” attraverso la compagnia illusoria di una tastiera che ci permette una socializzazione irreale. La dimensione virtuale, da semplice trastullo diventa un’arma, un tribunale, una polveriera da cui scagliare dardi incendiari che colpiscono persone e vite, per lo più sconosciute, prese di mira ed elette a capro espiatorio delle proprie più recondite frustrazioni.
E’ di pochi giorni fa la tragica notizia della bimba dimenticata in macchina dalla sua mamma: una tragedia inaudita, incredibile e spaventosa, di cui conosciamo le scarne dinamiche, descritte dai giornali. Ebbene all’urlo straziato e straziante di una madre che trova la propria figlioletta morta di una morte inimmaginabile soprattutto per lei, si sovrappone l’eco della valanga di epiteti ingiuriosi che travolge, senza appello, un essere umano di cui si sa per certo solamente che si tratta una madre che ha perso una figlia.
Alle prime indiscrezioni la forca “del Tribunale dell’Uomo Qualunque” ha iniziato a penzolare inquietante da fb:
– “Assassina, datele l’ergastolo!!!”
– “Muori sporca p…..a.”
– “Certo se magari non parlava al telefono non lasciava la figlia come un pacco”
– “Per carità non giustificatela non è una madre”.
Queste sono le “sentenze più sobrie e gentili”, altre sono veramente illeggibili…qualcuno prova a scendere dal pulpito delle “certezze social” e a capire, a riflettere e a comprendere.
Iniziano ad apparire accenni di sofferta solidarietà: prima quasi timidamente, poi con maggiore insistenza, si leggono i primi “poteva capitare a me” che aprono le porte a riflessioni un po’ più articolate, alla comprensione di fenomeni complessi, che non sono poi così distanti dal “piccolo mondo” di certezze che ognuno costruisce intorno a sé.
La mente umana, esattamente come qualsiasi marchingegno complesso e misconosciuto, può andare in stand-by, in un black-out momentaneo, può giocare davvero scherzi inimmaginabili e lo stress c’entra poco, anche l’incuria c’entra poco… Esistono scientificamente sinapsi che si inceppano e pensieri che smettono di fruire normalmente. Il giudizio sommario e il dito puntato non ci proteggono dal pericolo che può provenire da noi stessi, forse aiutano in qualche modo a esorcizzarlo, a tenerlo a bada, ma, anche se in forma inconscia esso c’è, esiste ed è perfettamente ancorato all’interno di una zona grigia, che è la parte più ancestrale, meno controllata dal nostro “Super Io”, la parte più buia del nostro rimanere semplicemente “Esseri Umani”. Si spera solo di avere la fortuna di non incontrarla mai questa dark side di noi stessi, o almeno di saperla sempre gestire, nella consapevolezza reale, però, della sua inevitabile esistenza.
“Giudica bene solo chi soppesa e confronta, e quando pronuncia la sua sentenza più dura non abbandona la carità”.
Sono del tutto d’accordo con l’analisi lucida e completa esposta dalla prof. Maria Rosa. Bene! Francesco Noto