Partinico, 14 gennaio – All’alba di un nuovo giorno, in una tenda che fatica a reggersi tra le mura ormai distrutte di Troia, sono riunite le donne. Un risveglio consapevole che nulla potrà migliorare, la città è caduta, gli affetti sono svaniti, nulla più rimane a queste sciagurate, nulla se non la dignità. Sei donne accomunate dal lutto, ma sole nella loro disperazione, nella loro dignità.
Non esiste più comunità, ognuna è pronta per il destino che le attende: schiave dei vincitori. Uno dei capolavori di Euripide, questo, in cui i vincitori appaiono ai nostri occhi come spietati, crudeli, feroci. La decisione di uccidere Astianatte per paura di una futura vendetta è un oltraggio che neanche il più vile degli uomini dovrebbe compiere. Un bambino strappato alle braccia della madre, Andromaca, a cui nulla più resta se non dolore su dolore. Ecuba, regina di Troia, schiava nella casa di Odisseo, dopo aver perso marito, figli, la propria patria, la propria vita. Elena tenterà in tutti i modi di sfuggire alla morte, provando a sedurre Menelao, il suo sposo, a cui, secondo il racconto di Elena, con forza è stata strappata da Paride. E Cassandra, una veggente stuprata nei templi sacri, costretta ad unirsi ad Agamennone; nessuno le crede, lei vede ciò che avverrà ma nessuno la ascolterà. E la Coreuta, che continua a rammendare, sistemare, partecipare a tutto come se nulla fosse accaduto: uno shock, il suo che la fa rimanere in una dimensione passata, quando era ancora una brava ancella nella casa di Priamo. Menelao comparirà durante l’unico momento di unione delle donne, convinto di uccidere Elena, senza sapere che rischierà di finire di nuovo nella rete tessuta da una brava ammaliatrice. Taltibio, il messaggero dei Greci, sarà annunciatore di notizie sempre peggiori.
E gli dei, Atena e Poseidone, saranno coloro che manovreranno tutto. Atena, una bambina capricciosa, adirata per la profanazione dei suoi luoghi sacri, deciderà di schierarsi con i troiani e rendere disastroso il ritorno in patria dei greci. Si nasconderà tra le donne, proverà sensazioni ed emozioni umane, nuove per una dea. Così, alleati insieme, i due dei prepareranno una scacchiera malefica, in cui muoveranno pedine a loro piacimento, per dare scacco matto al re vincitore e al suo popolo.
Così si apre Le Troiane, in un’ambientazione quasi moderna, in uno stile realista. Per meglio comprendere l’evoluzione di questo spettacolo e la sua realizzazione, abbiamo chiesto un’intervista al regista Maurizio Carlo Luigi Vitale.
Intervista a Maurizio Carlo Luigi Vitale su ‘Le Troiane’
Di Simona Schiera e Angela Picone
Si torna in scena! La Compagnia Teatrale Contemporanea I Policandri apre il nuovo anno con la tragedia greca Le Troiane, molti lettori ricordano la suggestiva rappresentazione realizzata al Parco Archeologico Jetas nel 2014. Perché la decisione di riproporre questo spettacolo?
R: Si tratta di una proposta concertata con il direttore artistico del cartellone del teatro Gianì. In questo cartellone infatti già da due anni propongo il Dramma Antico, ma soprattutto è stata la necessità di riprendere un discorso teatrale iniziato appunto nel 2014 e completarlo finalmente con le esperienze teatrali maturate in questi anni.
Che cosa è cambiato tra la prima e questa nuova versione?
R: Questa è una messa in scena pregna di realismo che mette l’attore di fronte alla difficoltà di indagare il proprio rapporto con il dolore e con la morte, utilizzando, in modo credibile, un linguaggio alto e bellissimo com’è l’opera Euripidea. Rispetto alla versione del 2014, ora il realismo delle scene e la necessità di proporre un verismo tinto di quotidianità di realtà dell’oggi è palpabile, visibile, forse azzarderei, completo.
Sappiamo bene che ciò che è classico mai tramonta, e, volendo, è sempre attuale. Ciò che ci è parso interessante, seguendo la descrizione del suddetto spettacolo, è l’utilizzo di un testo con un linguaggio aulico, in contrasto con una recitazione a tratti realista. Che cosa ci vuole dire questa differenza?
R: Il dramma delle donne Troiane si trasforma in dramma epico, diventa dramma di tutte le donne proprio nel momento in cui un linguaggio aulico diventa parola del dolore. Non c’è contrasto tra il realismo della scena ed linguaggio del testo, bensì una più netta definita proposizione del dolore, non più vicenda personale ma dramma di ognuno, fuori e dentro la scena.
I testi scelti sono di Euripide, Seneca e Sartre. Tre autori distanti sia come spazio temporale, sia come spazio fisico, che come ideologie: perché in alcuni passi ha preferito rimanere fedele al testo originale e in altri adottare altre versioni, più o meno recenti?
R: Quando scelgo un testo leggo varie traduzioni, e varie riproposizioni di autori famosi. La scelta cade poi su una unica traduzione e su una unica riproposizione, per completezza di cifra stilistica, ma tutti i pezzi, anche brevi che mi hanno colpito cerco di inserirli proprio perché mi hanno trasmesso molta emozione o forse perché sento che sono, per una data scena, il testo più adatto.
Guardando alle varie messe in scena di questa tragedia, si può notare come alcuni registi o autori abbiano scelto di eliminare sia la presenza del coro che la presenza degli uomini. Qui ritroviamo entrambi, oltre che le divinità di Atena e Poseidone. In che modo le è sembrato utile mantenere questi personaggi?
R: Tutta la vicenda è intrisa del rapporto tra gli dei e l’uomo, così mi sono divertito creare un’immagine più terrena, più mortale soprattutto di Atena, la bambina capricciosa ora alleata ora nemica del Greci. Questo per svilire di mitologia e collocare gli dei fuori dell’Olimpo, più vicini ai mortali e meno responsabili di ogni avvenimento.
Le donne che dominano la scena, sono accomunate, tra le altre cose, da vari lutti. Come viene affrontato il tema della morte in questo spettacolo?
R: Euripide ci dice chiaramente che la morte è ineluttabile, ci parla di violenza, di schiavitù, di degradazione. Il contraltare di tutto questo è e deve essere la dignità. Queste donne, le Troiane esprimono grande dignità nel loro dolore. Ma la morte vissuta non come fine della vita, ma come passaggio ad uno stadio altro è in pratica la perdita di ogni speranza. Contro questo lottano soprattutto queste donne, la tentazione di perdere ogni speranza, di abbandonarsi.
L’ambientazione scelta potrebbe ricordare una comune casa in periodo di guerra, tra vestiti da rammendare, mariti da ricordare, figli da piangere e una vita da portare avanti. Così potremmo ritrovarci in Giappone, in Russia, in Italia, in America, come se non importasse il luogo, ma il sentimento. Nella vostra messa in scena traspare sempre una grande dignità, nessuna donna, neppure Andromaca, si lascia mai completamente sopraffare dal dolore. L’idea, quindi, che si vuol trasmettere è quella di una forza universale che le donne hanno di affrontare sentimenti forti, senza mai perdere di vista la propria identità e la propria dignità? Oppure questo è un pensiero eccessivamente ‘femminocentrico’?
R: Queste donne hanno perso mariti, figli, eppure vivono, credono fermamente nel domani, attendono ogni cambiamento cercando di non subirlo ma di viverlo. Credono prima di tutto in se stesse e questa è la loro forza.
Gli uomini appaiono in netto contrasto alle donne in questa pieces. In qualche recensione precedente, la capacità maschile di interpretare i personaggi era messa un po’ in crisi dalla forza espressiva delle figure femminili. Questa volta cosa vedremo?
R:Dei personaggi maschili forti, all’altezza dei personaggi femminili.
Per concludere, chi potrebbero essere ‘ le troiane’ di oggi?
R: Le donne che si imbarcano sui barconi per cercare ancora un futuro, le donne che vivono una quotidianità familiare in zone di guerra, le donne che vessate dai loro uomini e dalla società, che pur vittime di violenza, cambiano pagina e si creano un futuro.